di Valeria Torri2
Lo scorso 1dicembre, presso il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL), il Presidente Renato Brunetta ha presentato il 57° Rapporto Censis sulla situazione sociale italiana.
Il Rapporto del Censis, commentato da Massimiliano Valerii – Direttore Generale – e Giorgio De Rita – Segretario Generale – affronta i temi di maggiore interesse emersi nel corso dell’anno: l’economia in rallentamento dopo la fine dell’espansione monetaria, i nuovi fermenti e le inquietudini.
Il ritratto delineato dagli analisti viene rappresentato dalla parola, che loro scelgono, il cui significato raccoglie tutte le caratteristiche della società italiana individuate: “sonnambuli”.
Valerii e De Rita insistono durante l’intero intervento al CNEL sul termine, spiegando che i dati raccolti dicono che la nostra è una «società di sonnambuli, apparentemente vigili ma incapaci di vedere, cioè ciechi dinanzi ai presagi».
«La società italiana sembra affetta da un sonnambulismo diffuso quasi precipitata in un sonno profondo del calcolo raziocinante, che servirebbe invece per affrontare la complessità delle sfide che la società contemporanea ha davanti a sé», dice Valerii.
Tuttavia, il riferimento non è imputato esclusivamente alle classi dirigenti. Il Censis parla di un fenomeno diffuso nella maggioranza silenziosa degli italiani che appaiono, in questa istantanea, come persone estremamente fragili, ferite da un profondo senso di impotenza.
Il 56% è convinto di contare poco nella società; il 61% prova una grande insicurezza a causa dei tanti rischi inattesi a cui ci si è trovati esposti negli ultimi anni; 8 su 10 si sentono rassegnati, convinti che l’Italia sia un paese irrimediabilmente in declino.
«Questo è il problema – prosegue Valerii. E così, in questa situazione di ipertrofia emotiva, l’84 degli italiani, secondo le nostre rilevazioni, oggi si dice impaurito dal clima impazzito, per il 73% gli sconvolgimenti globali sottoporranno l’Italia alla pressione di flussi migratori sempre più intensi e non saremo in grado di gestire l’arrivo di milioni di persone in fuga delle guerre. Per effetto del cambiamento climatico, il 53% ha paura che il colossale debito pubblico in cammino provocherà il collasso finanziario dello Stato. E poi, naturalmente, il ritorno della guerra, prima in Ucraina ora in Medio Oriente, ha suscitato nuovi allarmi: il 60% degli italiani ha paura che scoppierà un conflitto mondiale che coinvolgerà anche l’Italia. Per il 59% il nostro paese non è in grado di proteggersi da attacchi terroristici di stampo jadista e il 50%, la metà, è convinto che l’Italia non sarebbe capace di difendersi militarmente se aggredita da un paese nemico».
Anche il sistema di welfare del futuro naturalmente instilla nell’immaginario collettivo grandi preoccupazioni. Il 74% degli italiani ha paura che negli anni a venire non ci sarà un numero sufficiente di lavoratori per pagare le pensioni. Il 69% pensa che non tutti potranno curarsi perché la sanità pubblica non riuscirà a garantire prestazioni adeguate.
«Naturalmente parliamo di scenari ipotetici a volte catastrofisti ma il punto è che questo tipo di scenari, questo tipo di preoccupazioni paralizzano invece di mobilitare risorse per la ricerca di soluzioni efficaci e genera uno stile di vita caratterizzato da una ricerca pacata di piaceri consolatori per garantirsi uno spicchio di benessere nella vita quotidiana».
Altri dati, citati nel corso dell’incontro, ci rappresentano come una società che non mette più al centro della propria vita il lavoro. Ma non si tratta del rifiuto del lavoro in sé. Piuttosto, è un atto di declassamento del lavoro nella gerarchia delle priorità esistenziali, soprattutto delle generazioni più giovani.
Perciò, il 62% degli italiani oggi avverte il desiderio quotidiano di momenti da dedicare a sé stessi e non sorprende che un plebiscitario 95% oggi abbia rivalutato la felicità derivante dalle piccole cose di ogni giorno. Il tempo libero, gli hobby, le passioni personali.
“La bomba ad orologeria sulla quale siamo seduti”, secondo il Rapporto Censis sono le criticità legate alla radicale transizione demografica, «questione a lungo rimossa, trascurata, sottovalutata oppure affrontata con un certo fatalismo».
Secondo le proiezioni demografiche, difatti, nel 2050, cioè di qui a meno di 30 anni, l’Italia avrà perso complessivamente 4 milioni e mezzo di residenti. È come se – parafrasando il Direttore del Censis – le due più grandi città italiane, Roma e Milano insieme, scomparissero in un arco di tempo molto circoscritto.
Immaginare gli italiani del 2050 come i protagonisti di “Cocoon”, il film americano degli anni ’80, in cui gli ospiti di un ospizio – tra i servizi del futuro evidentemente più richiesti – fanno continue abluzioni in una piscina dall’acqua miracolosa che restituisce loro la gioventù perduta, forse può rendere l’idea.
Una società in cui non saremo impegnati a fare i nonni, perché i nipoti nasceranno altrove, non lavoreremo, perché l’intelligenza artificiale lo farà per noi, e non dovremo preoccuparci delle malattie, perché la ricerca avrà migliorato l’aspettativa di vita oltre ogni attuale immaginazione.
Si potrebbe pensare alla trama di un romanzo distopico se non si trattasse della rappresentazione di una realtà del futuro prevedibile sulla base di tendenze del presente.
Una fotografia di sintesi della società italiana, quella del Censis, che descrive la psiche collettiva di una nazione, da un lato, indifferente alle previsioni pessimistiche sul suo futuro e, dall’altro, sull’orlo di una crisi di nervi per la paura che queste si avverino.