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17 Novembre 2024

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Il giustizialismo, reato più diffuso

di Felice Iossa Socialismo Oggi

Fatevelo dire da un socialista: il GARANTISMO è una malattia che non si cura. Colpisce gli uomini che non hanno certezze… 

Mi inorridisce chi proclama una giustizia rapida, severa, inflessibile, tutto tranne che giusta. 

Nella sinistra, quella della “questione morale”, incapace di leggere le sconfitte come la conseguenza del proprio limite, il giustizialismo è prevalente e ha preso il posto di altre teorie palingenetiche.  

La Politica non si fa con i “risentimenti” ma con i valori e le idee. Una merce preziosa e oggi assai rara.

“La Legge è uguale per tutti”… Non credo che si possa affermare questo principio in maniera assoluta.  Non siamo tutti uguali perché sono convinto che la bilancia della giustizia nel nostro paese da tempo sia “starata”.

Sono dalla parte dei più deboli, dei più indifesi, di coloro che vengono calpestati dal sistema: “i poveracci”, quelli che soccombono. L’inerme cittadino che paga il prezzo più alto di una politica incapace di occuparsi dei problemi della gente comune perché lontanissima da quella realtà. Quelli che spesso non possono garantirsi una difesa idonea, quelli che anche se dovessero essere assolti ne usciranno distrutti, perché difendersi costa, soprattutto quando sei innocente, e quei costi lo Stato non te li rimborserà mai. 

Il reato più diffuso nel nostro paese è il giustizialismo! 

Non sono i magistrati a dover dimostrare la tua colpevolezza che mina la presunzione d’innocenza. Sei tu che devi dimostrare d’essere innocente tentando di smontare quell’intimo convincimento di colpevolezza. “Sbattere un uomo in carcere, lasciarlo solo, in preda alla paura e alla disperazione, interrogarlo solamente quando la sua memoria è smarrita per l’agitazione.” Questo è il reato di giustizialismo che si consuma intorno a noi che colpevolmente continuiamo ad ignorare

Negli ultimi dieci anni i cittadini reclusi in attesa di giudizio sono stati costantemente il 35% dei detenuti, contro il ventidue della media europea.  Dal 1991 al 2022 gli errori giudiziari hanno coinvolto 30mila persone innocenti. Un abominio che pesa anche sulle casse dello Stato che tra indennizzi e risarcimenti ha sborsato quasi un miliardo di euro.

144 detenuti morti quest’anno, 64 suicidi. Molti, dopo aver proclamato la propria innocenza,  si riprendono la libertà togliendosi la vita.

In questo tragico quadro generale la condizione dei detenuti minori è ancora più allarmante. 

Le posizioni giuridiche dei ragazzi detenuti ci dicono che a metà marzo solo 21 (5,5% del totale), erano in carcere esclusivamente per espiare la pena. Altri 128(33,7%) avevano una posizione giuridica mista con almeno una condanna passata in giudicato. La maggioranza era in carcere senza alcuna sentenza definitiva, in attesa di primo giudizio. In particolare, il 33% dei giovani adulti e addirittura il 91,7% dei minorenni non aveva ancora una condanna passata in giudicato. 

Il 100% dei ragazzi italiani detenuti arrivano dalle periferie, dal sottoproletariato dell’Italia meridionale. 

La risposta bisogna cercarla nelle storie dei ragazzi reclusi a Nisida. Storie di vita vera, testimonianze tanto dirette quanto allarmanti. Storie che hanno protagonisti diversi ma tutto il resto in comune: la scuola frequentata poco e male, il motorino per “le stese” e gli scippi, il danaro come status symbol, il rispetto come mantra. 

L’età più critica è quella attorno ai 17 anni. La stragrande maggioranza è di sesso maschile, ha interrotto precocemente gli studi, vive ed è condizionato da un contesto familiare difficile e in un ambiente sociale in genere degradato. 

Ragazzi che crescono con un’educazione che li proietta in un immaginario criminogeno, verso una subutopia criminale. Con la scuola hanno un rapporto opportunistico, con le Istituzioni incidentale e marginale nella loro vita, con la giustizia inciampano quando va male e si finisce in manette. I reati più gravi sono indicatori non solo di un disagio di un’area di devianza occasionale ma di una prossimità verso uno stile delinquenziale criminale preoccupante. 

Bisogna insistere molto sulle politiche di prevenzione. Scuola, servizi di accompagnamento a uno stile di vita diverso, sport, tempo libero sono condizioni da sostenere ma in maniera costante e duratura, per abbattere il problema della povertà educativa e dell’evasione scolastica e accompagnare questi ragazzi a inserirsi nel mercato del lavoro in maniera celere e legale, non quindi quello del lavoro nero che li farebbe sentire sfruttati riportandoli verso quello criminale.

Le norme sull’ordinamento penitenziario minorile introdotte nel 2018 sono a oggi inapplicate, salvo alcune innovazioni rispondenti al dettato costituzionale e agli obblighi comunitari e internazionali. L’ordinamento penitenziario minorile, in buona sostanza, viene ancora a coincidere con l’ordinamento penitenziario degli adulti,

Le sezioni a custodia attenuata: “un intervento di sistema, capace di aprire il carcere al territorio esterno, facendo uscire i ragazzi in raccordo con il mondo della scuola, della formazione, del lavoro, dell’assistenza sanitaria, dei servizi sociali territoriali, immergendoli così in un contesto di normalità”, che si sperava potessero imporsi quale modello principale di vita detentiva, sono sostanzialmente inesistenti. Anche la singola previsione esplicitata dall’art. 18 della riforma, per il quale i ragazzi sono ammessi a frequentare corsi di istruzione e di formazione sul territorio, è quasi del tutto disattesa per quanto riguarda la scuola e lo è poco meno per la formazione professionale. 

E’ ora che l’Italia scelga anche su questo terreno di diventare un paese civile. 

Io mi auguro che il cambiamento investa anche la giustizia. Spero si possa tornare a parlare seriamente di giustizia e di garanzie violate della gente comune.

Un socialista, un democratico, non può mai rinunciare a questo principio fondamentale di garantismo che deve valere per qualsiasi cittadino. Lo dico pensando anche alla nostra storia di Socialisti. Ma quella è un’altra storia. Siamo ancora in attesa di “giustizia”…

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