La vicenda della Movida salernitana, con l’inchiesta giudiziaria e la campagna mediatica, riaccende un riflettore su una vecchia abitudine del sistema Italia, del giornalismo nostrano.
Sulla carta stampata, sui siti e nelle tv le tesi della Procura diventano già definitive. Verità acclamate. I cronisti non raccontano le due posizioni, quella di chi accusa e di chi si difende, ma solo una versione. Le ordinanze, unite a veline dei magistrati, diventano romanzi a puntate. Le reputazioni e le storie delle persone vengono demolite.
Cosa accadrà in caso di assoluzioni?
Il solito film. Resterà l’onta perché ci sarà sempre, come è accaduto in queste giornate, qualcuno che recupererà anche vecchie assoluzioni per usare la formula ‘era stato già coinvolto in vicende giudiziarie’. Barbarie.
Ci sarà, poi, qualche trafiletto e mai la narrazione di una assoluzione diventerà ‘romanzo a puntate’.
Prima o poi questa abitudine andrà scardinata. Serve un lavoro comune dei magistrati, degli stessi avvocati e dei giornalisti che hanno il dovere di recuperare autonomia.
Si è liberi se si riuscirà a spiegare alla Procure che l’attività giornalistica non è megafono dei pm.