di Valeria Torri
Il 29 gennaio, in una austera aula di un tribunale di Budapest viene condotta ammanettata mani e piedi una giovane donna dai lunghi capelli castani. Il suo sorriso strideva con lo stato di costrizione offerto in diretta ai media internazionali. Il sorriso che quella ragazza offriva anche al suo carceriere, una donna come lei, che la teneva al guinzaglio, che la trascinava in catene e legacci, senza riuscire a piegarla né tantomeno ad umiliarla.
Quello è stato il sorriso con il quale il mondo ha conosciuto Ilaria Salis, trentanovenne insegnante elementare antifascista, in carcere in Ungheria dall’11 febbraio 2023, con l’accusa di lesioni aggravate nei confronti di alcuni manifestanti di estrema destra.
Fino a quel 29 gennaio, pochi in Italia sapevano di Ilaria, ora ne conosciamo la storia personale e la vicenda giudiziaria che la vede protagonista.
Ilaria si laurea in Storia alla Statale di Milano dedicandosi, al contempo all’impegno sociale e politico. «S’è sempre appassionata alle cause sociali. Sempre. Fin dal liceo. Si consumava sui libri e nell’impegno politico» ha detto il padre, che non accenna al sorriso della figlia, piuttosto, preoccupato invita a considerare le condizioni in cui è costretta Ilaria, il viso segnato, i capelli scarmigliati. «Non aveva detto alla famiglia che sarebbe andata a Budapest lo scorso anno per protestare contro la manifestazione che raduna gruppi di neonazisti. La manifestazione è organizzata per commemorare le imprese di un battaglione nazista che nel 1945 si oppose all’Armata Rossa.»
L’accusa per Ilaria è di aver partecipato agli scontri durante il corteo e di aver aggredito due attivisti di estrema destra. Secondo l’accusa, la ragazza faceva parte di un gruppo di persone che a volto coperto, come mostrano alcuni filmati, colpiscono con dei manganelli i due neonazisti.
I due manifestanti di estrema destra non hanno sporto denuncia e le loro ferite sarebbero state stimate guaribili in pochi giorni. Ilaria viene fermata solo alcune ore dopo i fatti. L’accusa le contesta di aver inferto lesioni potenzialmente letali, con l’aggravante dell’associazione a delinquere.
I suoi avvocati lamentano di non aver avuto accesso ai filmati che finora costituiscono la prova principale su cui si fondano le accusa nei confronti della ragazza. Dopo l’udienza del 29 gennaio, il processo è stato aggiornato al 24 maggio. Ilaria si è dichiarata non colpevole rinunciando al patteggiamento, col rischio di vedersi condannare a una pena superiore a 20 anni. Un coimputato tedesco, con accuse minori, si è dichiarato colpevole ed è stato condannato a 3 anni di reclusione.
«Adesso lo Stato italiano non può davvero più continuare a ignorare una situazione carceraria e processuale che vìola le nostre leggi», ha detto l’avvocato Eugenio Losco che lavora alla possibilità di trasferire Ilaria ai domiciliari in Italia, dove le reazioni del Governo non si sono fatte attendere: si sono mobilitati il Ministro degli Esteri Tajani, quello della Giustizia Nordio e, soprattutto, il Presidente del Consiglio che ha incontrato il Premier ungherese Orban ottenendone doverose rassicurazioni sullo stato di detenzione della nostra connazionale.
Subito dopo l’esposizione mediatica ad Ilaria è stato messo a disposizione un interprete e le hanno fatto visita un medico e uno psicologo.
Del suo arresto e della successiva detenzione Ilaria ha raccontato: «Hanno messo sotto sequestro le mie scarpe e tutti i miei vestiti, ad eccezione di mutandine, reggiseno e calzini. Sono stata costretta a rivestirmi con abiti sporchi, malconci e puzzolenti che mi hanno fornito in Questura e ad indossare un paio di stivali con i tacchi a spillo che non erano della mia taglia. Per più di sei mesi non ho potuto comunicare con la mia famiglia e al momento non posso ancora comunicare con i miei avvocati italiani».
Per le prime cinque settimane in carcere, l’insegnante italiana non ha avuto abiti e biancheria di ricambio. «Al mio arrivo non mi hanno dato neanche il pacco con articoli per l’igiene intima personale che danno a tutti i detenuti. Mi sono trovata senza carta igienica, sapone e assorbenti. A giugno sono rimasta con 50 fiorini sul conto, cioè 12 centesimi di euro, e non ho potuto fare la spesa per un mese e mezzo».
Non ha avuto strumenti per pulire la cella dove resta per 23 ore su 24 ogni giorno. «Le due finestre si aprono solo di qualche centimetro. E qui si sta in cella completamente chiusa, compreso lo sportellino ad altezza cintura da cui ti passano il cibo».
Non sappiamo come evolverà la vicenda di Ilaria. Auspichiamo che possa essere giudicata con equità e, se condannata, scontare la sua pena in Italia. Ciò che in questo momento ci avvicina a lei e ci fa essere solidali alla sua sorte è ancora quel sorriso, che ci annichilisce più della vergogna di una donna ridotta in catene, alla stregua di un animale. Eppure, il suo è il sorriso di chi perdona coloro che abusano dei suoi diritti, che cercano di fiaccarne lo spirito, prima del corpo. Quel sorriso mortifica tutti noi.
Non sappiamo se Ilaria abbia commesso ciò di cui è accusata, ma sappiamo che le nostre leggi dovrebbero tutelare ogni cittadino dinanzi al rischio di essere costretto in tali condizioni di bestialità, sia esso colpevole o innocente.
Ma un sorriso, il sorriso di Ilaria, come anche quello di Patrick Zacki, o quello perduto di Giulio Regeni, possono bastare a smuovere le coscienze?
Ce lo auguriamo, consapevoli che il sacrificio e il dolore di uomini e donne liberi non potranno scongiurare il sonno della ragione.