“Diciamocela tutta. Il Partito Democratico della Campania fu commissariato, tre anni fa, per effetto di una ritorsione politica; perché il Congresso Regionale sarebbe stato vinto dagli iscritti che avevano votato per Bonaccini e questo fu considerato insostenibile da chi aveva vinto le primarie (“aperte al pubblico”)”. Inizia così un post social di Nicola Landolfi, una vita a sinistra, nel PDS, Ds, Pd. Ha guidato la comunità, e’ stato consigliere comunale a Salerno, e’ attivissimo dirigente con la cultura della militanza.
“Da quel momento, a dispetto perfino di quello che avviene con i commissariamenti, nel Pd campano c’è stata – scrive ancora postando una foto di tanti anni fa – una totale soppressione della democrazia interna. Nessuna riunione, nessuna discussione, nessuna occasione formalmente data per parlare della linea, della direzione di marcia, delle iniziative, dell’organizzazione. Niente. Un confronto, anche aspro, sui giornali e spesso questioni di carattere più personale che politico, che hanno tagliato fuori non solo i militanti ma anche i dirigenti. Quelli che hanno portato il Pd campano a vincere nelle province e nella regione, dopo gli anni della destra, di Caldoro, Cirielli e compagnia bella. E, mi sia consentito, di tornare a vincere anche a Napoli, che era oramai divisa tra grillismo e De Magistris. Alcuni di noi hanno portato avanti la baracca in anni tumultuosi, sopportando rinunce e facendo avanzare il Partito, l’organizzazione, un’intera classe dirigente”.
“Abbiamo distrutto le nostre automobili girando il territorio, abbiamo fatto – spiega – circoli e coordinamenti dove c’era il deserto, abbiamo allargato le alleanze dove c’era soltanto un ottuso settarismo. Abbiamo diretto partiti provinciali con dignità e onore, presieduto quello regionale con l’unanimità dei consensi, garantito a tutti partecipazione e agibilità. Abbiamo la tessera da quando eravamo piccoli (io non ho mai portato i pantaloni corti) e anche quando ci siamo schierati non abbiamo mai perso di vista il carattere unitario del nostro impegno”.
E ora? Si chiede … “Dove dobbiamo spendere, in termini di contributo intellettuale e lavoro politico concreto, quello che siamo, la nostra credibilità, la nostra storia? Dove? Sui social, sui giornali, nelle riunioni di corrente? Dove? Da segretario provinciale ho subito l’onta di un’occupazione e la devastazione della sede, a via Manzo, perché la corrente di un deputato (ora qualche suo seguace ha “risciacquato i panni in Arno”) non si trovava con i conti di un’elezione primaria regionale. Ora che dovremmo fare? Che fare per evitare questa divisione del partito campano, portata avanti, come è del tutto evidente, da chi lo vuole cancellare (il partito) e, per questo, si è affidato alle oscure mani di un burocrate (che non ha nessuna cura per questo nostro territorio) di Bergamo?
Come si può unire il centro sinistra se si divide il Pd e la gran parte dello stesso Pd regionale non è rappresentato nell’interlocuzione con le altre forze politiche? Come si può parlare con gli elettori della Campania se non li si rappresenta? Dobbiamo rassegnarci alla fine del Pd, alla divisione in due, a un altro partito democratico guidato da Gentiloni (non è l’ultimo segreto di Fatima che è l’ipotesi che si fa strada) o c’è ancora una prospettiva unitaria per quel partito che fu immaginato da Romano Prodi e Walter Veltroni come erede dell’Ulivo e di quell’unica volta che abbiamo sconfitto la destra? Al di là delle coloriture folkloristiche e localistiche che si tenta di dare al racconto, la Campania si sta rivelando, come altre volte, un laboratorio di fenomeni che stanno per accadere più in generale”
“E questo – prosegue – va molto al di là di quello che deciderà la Corte Costituzionale. Riuscirà l’OPA che ha conquistato il Pd (con il voto altrui) nel suo obiettivo di scioglierlo definitivamente? Si compirà qui in Campania quell’eterogenesi dei fini per cui destra radicale e sinistra radicale (quasi come sempre) hanno lo stesso identico obiettivo? I presupposti ci sono tutti anche se non vogliamo rassegnarci al pessimismo della ragione”.