Franco Alfieri, sindaco di Capaccio Paestum e presidente della Provincia di Salerno, ha rassegnato le dimissioni. L’amministratore del Pd, agli arresti da ottobre per un’inchiesta su presunti appalti truccati, ha fatto un passo indietro. Venerdì scorso la Cassazione aveva respinto il ricorso per l’annullamento degli arresti domiciliari.
“È con immensa sofferenza e tristezza, ma travolte dal senso di responsabilità, che comunico le mie irrevocabili dimissioni dalla carica di sindaco della città di Capaccio Paestum e, di conseguenza, da presidente della Provincia di Salerno”. Così Franco Alfieri ha comunicato al segretario generale del Comune, alla giunta e al Consiglio comunale e al segretario generale della Provincia di Salerno le sue dimissioni. “Con fiducia ho atteso la decisione della Suprema Corte di Cassazione, ma invano. Ho capito che per ottenere giustizia e per far emergere la verità c’è bisogno di tempo e di fasi diverse, quel tempo in cui non è giusto ed opportuno coinvolgere Enti e Comunità amministrate. Enti e Comunità che debbono proseguire il cammino di progresso, sviluppo e crescita avviati in questi faticosi ma avvincenti anni, senza essere condizionati dalle mie azioni, decisioni e comportamenti”. Alfieri ha voluto “ringraziare tutti gli amministratori, i dipendenti e tutti coloro che a vario titolo hanno proseguito con responsabilità, pur in una condizione di estrema difficoltà, lo straordinario lavoro programmato e avviato teso al ‘Bene Comune'”. Alfieri, che era già stato sospeso dal Prefetto di Salerno, oltre che dal Pd di Salerno, ha voluto ringraziare anche “la comunità di Capaccio Paestum che in questi anni mi ha tributato quella fiducia e stima, essenziali, per spendere tutta la mia passione, coraggio e determinazione di cui ero capace. Stessa cosa per tutti gli amministratori salernitani che mi hanno dato il grande prestigio di essere Presidente di una Provincia tra le più importanti d’Italia”. “Sono certo e convinto – ha concluso – che il tempo restituirà la verità, pur e vivendo tutta l’amarezza di aver pagato “tutto” prima ancora che il processo avesse inizio”.