Alessia Anziano – Giulia Calabrese- Arianna Liguori
Il coraggio di fermarsi: fragilità o maturità?

Negli ultimi anni, sempre più artisti si sono trovati a fare i conti con una realtà scomoda: il successo, che per molti è un traguardo ambito, può trasformarsi in un abisso soffocante. Giovanni Pietro Damian, in arte Sangiovanni, ha scosso il pubblico quando, all’apice della carriera, ha annunciato di volersi fermare. «Non riesco più a fingere che vada tutto bene e che sia felice di quello che sto facendo» ha confessato, smascherando un sistema che troppo spesso ignora il benessere psicologico degli artisti.
Angelina Mango, vincitrice di Sanremo 2024, ha vissuto un percorso simile. Dopo il trionfo al festival di Sanremo e la partecipazione all’Eurovision, la cantante ha dovuto interrompere il tour, sopraffatta da un peso che non riusciva più a sostenere. La pressione mediatica, l’aspettativa costante, l’obbligo di essere sempre all’altezza: tutto questo si è trasformato in un vortice che ha messo in pericolo la sua salute fisica e mentale.
E ancora, Olly, vincitore del Festival di Sanremo 2025, ha deciso di rinunciare all’Eurovision, un’opportunità irripetibile per un artista emergente. La sua scelta, agli occhi del pubblico, può sembrare folle, ma in realtà cela una consapevolezza profonda: il successo non può e non deve essere sinonimo di autodistruzione.

A questo punto, la domanda è inevitabile: questi giovani artisti stanno mostrando fragilità o, al contrario, una maturità straordinaria? Se un tempo il ritiro dalle scene veniva visto come una resa, oggi è sempre più chiaro che fermarsi, proteggersi, è un atto di forza. Ma perché il mondo dello spettacolo continua a produrre star che si trovano costrette a scappare da ciò che hanno sempre sognato?
Il lato oscuro della fama

Non è una storia nuova. Il successo ha sempre avuto un lato oscuro, capace di divorare chi lo ottiene. Uno dei casi più emblematici è quello di Kurt Cobain, il leader dei Nirvana, la voce di una generazione, un’icona immortale della musica. Cobain aveva tutto: talento, fama, denaro, milioni di fan. Eppure, si sentiva soffocare. «Meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente» scrisse in quello che divenne il suo tragico addio al mondo.
Cobain non riusciva a sopportare il peso delle aspettative, il continuo scrutinio dei media, l’impossibilità di essere semplicemente sé stesso. La
fama, invece di salvarlo, lo ha condotto alla disperazione, fino al suicidio nel 1994, a soli 27 anni.
E il suo caso non è isolato. Amy Winehouse, Brian Jones, Janis Joplin, Jimi Hendrix, Jim Morrison: nomi diversi, epoche diverse, ma lo stesso epilogo. Artisti consumati da un sistema che chiede sempre di più e che non ammette debolezze. La storia della musica è costellata di talenti che si sono spenti troppo presto, non per mancanza di successo, ma proprio per colpa di esso.
L’infanzia rubata delle baby star

Se la musica ha visto molte delle sue stelle cadere, Hollywood non è stata da meno. Crescere sotto i riflettori è un privilegio o una condanna? La risposta la troviamo nelle vite spezzate di tante baby star che hanno pagato un prezzo altissimo per il loro successo precoce.
Britney Spears, l’ex reginetta del pop, è l’esempio perfetto. Dopo un’adolescenza vissuta sotto gli occhi del mondo intero, il peso della fama l’ha schiacciata fino a condurla a un crollo psicologico che l’ha resa incapace di gestire la propria vita. Per tredici anni, è stata sotto la tutela legale del padre, privata della libertà di decidere per sé stessa.
Una popstar, una leggenda, ridotta a prigioniera del sistema che l’aveva creata.
Amanda Bynes, volto amatissimo della Nickelodeon, ha vissuto un destino simile. Dopo il successo da bambina, ha dovuto affrontare problemi mentali, dipendenze e ricoveri forzati. E la lista continua: Macaulay Culkin, la star di Mamma, ho perso l’aereo, ha vissuto un’infanzia dorata seguita da un’adolescenza infernale; Lindsay Lohan, Drew Barrymore, Demi Lovato…tutti talenti bruciati troppo in fretta, sacrificati sull’altare della celebrità.
Il problema è sistemico. I bambini che diventano star perdono qualcosa di prezioso e insostituibile: la loro infanzia. Sono costretti a vivere come adulti quando ancora non sanno chi sono, a soddisfare le aspettative di un pubblico affamato di intrattenimento, senza che nessuno si preoccupi di proteggerli davvero.
Jeanette McCurdy e la denuncia del sistema

Jeanette McCurdy, ex star della Nickelodeon, ha avuto il coraggio di raccontare la sua verità nel libro I’m Glad My Mom Died. Il titolo scioccante nasconde una storia ancora più inquietante: la McCurdy è stata vittima di abusi psicologici da parte della madre, che la spingeva verso il successo a ogni costo, e di un sistema che la sfruttava senza pietà.
Nel libro, l’attrice racconta come, fin da bambina, le venisse imposto di seguire rigidi regimi alimentari per mantenere un aspetto perfetto, come fosse costantemente manipolata da adulti che vedevano in lei solo un prodotto da vendere. Quando ha deciso di lasciare il mondo dello spettacolo, ha scoperto una
verità devastante: la sua intera identità era stata costruita attorno a un’immagine che non le apparteneva.
La sua testimonianza è un atto di ribellione contro un’industria che continua a sfruttare giovani talenti, trasformandoli in macchine da soldi senza preoccuparsi della loro salute mentale.
Il successo è davvero un traguardo?
Le storie di Sangiovanni, Angelina Mango e Olly ci dimostrano che, finalmente, qualcosa sta cambiando. Sempre più artisti decidono di dire “basta”, di fermarsi prima che sia troppo tardi.
Ma il problema resta: il successo, così come è concepito oggi, è una trappola. Gli artisti non possono permettersi di essere fragili, perché il sistema non lo consente. Devono essere sempre perfetti, sempre produttivi, sempre disponibili. Il pubblico esige spettacolo, le case discografiche e le major cinematografiche vogliono profitti, e la persona che sta dietro all’artista finisce per essere sacrificata.
Forse, la domanda che dovremmo farci non è se ritirarsi sia un segno di debolezza o maturità, ma piuttosto: perché il successo è diventato qualcosa da cui bisogna scappare per sopravvivere? Se davvero amiamo la musica, il cinema, l’arte, dobbiamo imparare a rispettare chi li crea. Dobbiamo accettare che un artista è prima di tutto un essere umano. E che nessun successo vale la vita di una persona.