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15 Novembre 2024

Chi siamo

Affamati e saziati di bellezza

di Valeria Torri

Abbiamo bisogno di bellezza, di grazia, di gentilezza. Abbiamo bisogno di danza. La danza come un inno alla vita è un serbatoio profondissimo di virtù da cui possiamo attingere per portare bellezza nei nostri occhi.

“La danza è musica, canto, parola, poesia” (cit. Micha Van Hoecke). La danza è nata in Italia e di qui esportata in Francia e in Russia dove è stato un italiano a fondare la prestigiosa scuola del Bolshoi di Mosca, nel 1773. Nel nostro paese sono tantissimi i ragazzi che amano la danza e studiano seriamente. Si pensi che a fronte di  1.000.000 di ragazzi iscritti nelle scuole di calcio ve ne sono 1.500.000 che frequentano corsi di danza. Ma nonostante una salda identità culturale, in Italia, la danza continua a restare ai margini, ad essere disincentivata, alle volte, trattata con sufficienza e senza il rispetto che meriterebbe. La danza come qualunque altra attività culturale, se ben gestita, potrebbe essere una risorsa, anche economica. Per questo, sostenere la tradizione e la cultura della danza in Italia è una questione di rispetto.  Di questo inestimabile patrimonio artistico e culturale, la Rai ha voluto farci omaggio la sera di capodanno, come un augurio di buon auspicio per il 2022, attraverso i movimenti meravigliosi dei danzatori che si sono avvicendati sul palco di “Danza con me”, il programma condotto da Roberto Bolle che, senza meraviglia alcuna, è stato seguito da 3.579.000 spettatori. Le prime immagini sono state dedicate a Carla Fracci, un’artista che non solo ha segnato la storia della danza del secondo Novecento ma soprattutto ha incarnato l’idea che anche la danza fosse una forma artistica alta, capace di ispirare i massimi poeti italiani e i geniali registi. Amava spesso dire: «bisogna rimboccarsi le maniche» e in quella frase s’indovinava come il lavoro fosse per lei il motore per arrivare, ma anche un monito a rimanere sempre con i piedi per terra, a non dare niente per scontato, piuttosto fare ogni giorno il proprio dovere. Certo questa concretezza le derivava dalle ben note origini operaie, che contribuirono a farle avere ben presto un enorme consenso popolare, ma era anche l’ingrediente essenziale del suo fascino che fece scrivere al critico musicale Lorenzo Arruga (nel più bel libro su lei) di come «da tutto» si rivelava «come un personaggio intenso e complesso, che si esprime in semplicità confortante». Carla Fracci per prima ha portato il balletto fuori dai teatri: il famoso «decentramento». «Molti arricciavano il naso. Ho danzato in circostanze assurde, su un ring e su un palcoscenico cosparso di Coca-Cola per non scivolare, al posto dei camerini ci si cambiava nelle cabine elettorali. La mia idea di danza è sempre stata democratica, l’étoile è il nome di richiamo». Roberto Bolle, erede ed interprete della concezione di Carla Fracci sul valore della danza come fonte di arte e cultura italiane di cui tutti possono e devono poter fruire, ha portato nelle case della gente, attraverso il potente mezzo televisivo, le meraviglie del balletto, più spesso riservate alle platee dei palcoscenici teatrali. In un’epoca in cui i teatri chiudono, i cinema, i parchi e gli spazi all’aperto per i bambini diventano parcheggi o piazze pullulanti di divieti, così gli artisti e le loro compagnie, o le loro troupe di tecnici, diventano la ruota del carro dei lavoratori utili al benessere del paese.

In questa atmosfera decadente, la possibilità di accedere alla vitalità, all’energia, alla creatività della danza, oltre che alla sua indiscussa magia, riempie il cuore di gioia. Roberto Bolle, termina il programma condividendo con noi il suo auspicio: «Io non ho mai avuto un atteggiamento elitario nei confronti della cultura, anzi, sono convinto che l’arte sia un bene primario che dev’essere sempre più accessibile e condiviso. E credo che la televisione continui ad essere un mezzo culturale privilegiato e determinante. Vi ringrazio per averci seguito e spero vi siate saziati e al tempo stesso affamati di bellezza». Con un gesto della mano di una grazia infinita e un sorriso lieve ma potente, si congeda dai nostri occhi appagati e desiderosi di averne ancora. Eppure, lo spettacolo che ci viene offerto dai danzatori, leggeri come piume, circondati da tessuti evanescenti indossati appena da corpi disegnati da Leonardo, è il risultato di un “lavoro micidiale”, come lo definiva proprio Carla Fracci: «La danza non ha a che fare con la ginnastica ma con l’estetica. E’ un dialogo incessante con la bellezza». Un allenamento matto e disperatissimo, forsennato e duro al limite dell’indicibile, del sopportabile, tutto per seguire quella fiamma, quella passione, rincorrere quel desiderio, quel barlume in fondo al tunnel.

La danza per il danzatore è una sposa, è dedizione, unica ambizione, stile e scelta di vita, strada, linea, condotta da seguire, idea da percorrere e privilegiare. Muscoli, nervi, tutto è teso alla creazione di grazia, leggiadria e raffinatezza, da sostenere con la tenacia e la durezza. Come una farfalla, viva per un giorno, così il danzatore, presto, conclude la sua carriera, per il limite temporale invalicabile dettato dalla forza di gravità sul corpo. Ma chi ha vissuto in prima persona la danza, non l’abbandona mai. Resta un ballerino nell’animo. Camminerà danzando, mentre va a prendere il treno, mentre fa la spesa, mentre siede, parla o arriva da lontano. Come aironi, fenicotteri o gru, i ballerini sono esseri luminosi tra di noi, a portarci un po’ di leggerezza e di incanto. Sembrano dirci di farci travolgere dalle passioni. Qualunque esse siano. 

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