di Anna Adamo
Di lavoro si dovrebbe vivere, non morire. Eppure, sempre in aumento sono i casi in cui si verifica l’ esatto contrario. Quello di Sara Viva Sorge, infermiera morta in un incidente stradale avvenuto sulla strada principale che collega San Vito dei Normanni a San Michele Salentino, nel Brindisino, al termine del turno di notte, é solo uno di questi casi, ad esempio. Non è il primo e purtroppo,non sarà neanche l’ ultimo.
É lo specchio di un’ Italia allo sbando. Di un’ Italia che ha bisogno di un vero e proprio cambiamento.
Uno di quelli dai tratti drastici, che si attuano quando non ce la si fa più.
Perché, si, la verità è che di sentir parlare di morte sul lavoro non se ne può più. Non se ne può più del rischio di perdere la vita mentre si sta facendo il proprio dovere.
Ma, soprattutto, non se ne può più di vedere giovani sfruttati, sottoposti a turni massacranti, vittime di un sistema malato che tende a trattarli come fossero l’ultima ruota del carro. Che prima li definisce il “futuro del paese” e poi, a poco più di vent’anni, per dare loro un’ opportunità, richiede anni di esperienza. Così, come se fosse possibile fare esperienza attraverso l’aria che respiriamo!
E no. La storia secondo la quale senza esperienza non si arriva da nessuna parte non è accettabile. O, almeno, non lo è nel modo in cui la si intende nel nostro Paese.
Ben venga l’ esperienza, ma a patto che sia costruttiva e non porti alla distruzione.
A patto che non venga confusa con lo sfruttamento. A patto che non non accada quello che è accaduto a Sara e a tanti altri giovani prima di lei. Questa, si, è una verità scomoda, ma va detta.
Perché, se nel nostro Paese non vi fosse stato questo sistema malato, se i giovani non venissero sfruttati, Sara probabilmente non sarebbe morta al termine del turno di lavoro, ormai stanca e stremata. Che si sia trattato di una terribile fatalità, non dobbiamo neanche provare a dirlo.
E non dobbiamo neanche provare a nasconderci dietro un dito per salvare il salvabile.
Perché, da salvare non c’è proprio nulla. La situazione è chiara: non possiamo più andare avanti così. Non possiamo più permettere che di lavoro si muoia e non si viva.
I giovani è necessario istruirli, tutelarli e non sfruttarli. É nostro dovere far sì che le cose cambino.
Lo dobbiamo ai tanti giovani come Sara che alla vita sono stati strappati proprio a causa del lavoro.
Lo dobbiamo a chi nel mondo del lavoro non è ancora entrato, ma non può entrarvi avvolto dalla paura di poter perdere la vita da un momento all’altro.
Lo dobbiamo alla vita stessa che resta, sempre e comunque, uno dei doni più preziosi che possediamo e non possiamo permetterci di perdere.