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18 Novembre 2024

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“Nude allo specchio”, ecco Marina Visvi, la macchina fotografica come medium tra il mondo interno e quello esterno

Di Felice Massimo De Falco

Marina Visvi nasce a Roma il 10 Agosto 1965. Laureata in Psicologia presso l’università la “Sapienza” dopodiché ha conseguito due Master, il primo in psicologia Giuridico-Forense, il secondo in Psicodiagnostica. Entrambi i Master le hanno permesso di operare nel settore della violenza contro le donne e nelle cause di divorzio altamente conflittuale che prevedeva il dover comprendere a quale dei due genitore affidare uno o più  figli minori. Per un breve periodo della sua esperienza di Dott.ssa in psicologia ha avuto incarichi di CTP (consulente tecnico di parte) in ambito civile ed il Master in psicodiagnostica le ha permesso di poter leggere le varie batterie di test a cui in CTU (consulente tecnico c’ufficio) aveva sottoposto i soggetti dell’indagine.
La psicologia ha da sempre fatto parte della sua vita e nel tempo si è appassionata alla psicologia analitica di Carl Gustav Jung partecipando a vari convegni/congressi dell’AIPA e del CIPA e scrivendo sul giornale storico di Aldo Carotenuto un articolo incentrato sulla fotografia, sua seconda passione.
Da sempre attenta al linguaggio artistico della fotografia ha cercato, nel tempo, di integrare le sue due passioni giungendo alla conclusione che, la macchina fotografica, non è solo un’estensione dell’occhio umano ma anche modo di esprimere sensazioni ed emozioni che emergono dall’ inconscio.
Parafrasando Donald Walter Winnicott Marina Visvi ama sostenere che la macchina fotografica è un “medium” tra il mondo interno e quello esterno, tra il ME e non ME, tra l’Io e l’Inconscio.
Nascono da qui i suoi lavori di ritratto femminile dove cerca di mettere in mostra l’animo della modella lasciando a lei la scelta di quale lato ed emozione esprimere.  A differenza di altri ciò che fotograficamente interessa a Marina Visvi è la cattura dello sguardo riflessivo o pensiero della donna ritratta infatti, a guardar bene i scuoi scatti ci si rende conto che fil rouge che li unisce è lo sguardo basso o pensieroso oppure una posa riflessiva espressa bene anche nei nudi.
Davanti alle critiche che alcuni fotografi professionisti le muovono perché i suoi scatti non sono “plastici e perfetti” Marina Visvi risponde che la donna è prima di tutto soggetto attivo e non passivo inoltre, va’ rispettata nelle pose e negli atteggiamenti, pertanto, anche nei suoi ritratti di nudo viene bandita ogni volgarità che possa snaturare la vera essenza delle femminilità.
Con molta probabilità l’aver lavorato per molto tempo contro la violenza sulla donna ha impresso anche nel suo modo di ritrarre un amore ed una “venerazione” per la donna intesa come massima espressività della femminilità.
Nella sua carriera fotografica sono state molte le mostre a cui è stata invitata ed ha esposto anche accanto a pittori di fama internazionale che vedono nel suo modo di fotografare un fare Arte che travalica i confini della mera fotografia “commerciale”. Il fare Arte è per Marina Visvi un modo per stravolgere i canoni fotografici, infatti, si dedica alla “manipolazione” fotografica che la porta a stravolgere lo scatto iniziale rendendolo molto differente dall’originale.
Di seguito alcune frasi che possono far comprendere meglio il suo pensiero:
 
1) La fotografia non è come la pittura. Vi è una frazione creativa di un secondo quando si scatta una foto. Il tuo occhio deve vedere una composizione o un’espressione che la vita stessa propone, e si deve saper intuire immediatamente quando premi il clic della fotocamera. Quello è il momento in cui il fotografo è creativo. Oop! Il momento! Una volta che te ne accorgi, è andato via per sempre. (Henry Cartier-Bresson)
2) “La creazione di qualcosa di nuovo non si ottiene con l’intelletto ma con l’istinto del gioco che nasce da necessità interiori. La mente creativa gioca con gli oggetti che ama” (Carl Gustav Jung).

Prossimamente due nuovi appuntamenti la attendono il primo a Roma ed il secondo all’Aquila: 2 città a lei particolarmente care.

Marina si mette “a nudo” per noi

 D) chi è il bravo fotografo?

R: il bravo fotografo è colui che sa guardare la realtà con occhi differenti ed è in grado di tradurla attraverso immagini che sappiano parlare a chiunque. Per meglio esprimere il concetto posso dire che la fotografia è nell’occhio di chi osserva pertanto 2 fotografi differenti al cospetto della stesa immagine reale la tradurranno in maniera soggettivamente differente per contro, chi osserva lo scatto avrà, della stessa immagine una sensazione differente.

D) Catturare i dettagli è un bagaglio innato?

R: più che di bagaglio parlerei di tratto di personalità in quanto ci sono persone che si soffermano sul dettaglio mentre altre guardano l’insieme. Parafrasando la teoria della Gestalt (teoria della forma di Max Wertheimer  ) che sostiene ciò che percepiamo non è una somma di elementi, ma una sintesi della realtà posso affermare che le persone che maggiormente si soffermano sui dettagli senza pervenire ad una sintesi,  soffrono o possono soffrire di un disturbo ossessivo i personalità che prevede il raggiungimento della perfezione in ogni campo della vita.  Come psicodiagnostica, mi sono spesso trovata a fare i conti, durante la somministrazione del test di Rorscarch con personalità simili e debbo dire che in realtà essi erano davvero come “Furio” nel film diretto da Carlo Verdone “bianco, rosso e verdone”.
Se passo questo tratto di personalità alla fotografia mi vengono in mente quei fotografi che mettono cerotti, scotch, lacci etc al fine di rendere il corpo di una modella privo di imperfezioni, nessun accenno al grasso o al doppio mento ma solo tanti artefici prima dello scatto. Ciò che mi preme dire è che dall’incubo dei dettagli si può uscire imparando ad accettare la realtà per quello che è senza volerla piegare alla nostra idea di perfezionismo perchè, in natura, la perfezione non esiste.

D) Cos’è la creatività?

R: qui posso risponderle utilizzando la frase dello psicanalista inglese Donald Walter Winnicott “Ogni oggetto è un oggetto “trovato”. Data l’opportunità il bambino comincia a vivere creativamente, e ad usare oggetti reali, per essere creativo in essi e con essi”.
Per descriverla posso utilizzare i 4 indici di J.P. Guilford il quale sosteneva che la creatività è la capacità di trasformare la  realtà fino a renderla aderente al proprio pensiero. Le caratteristiche peculiari dell’uomo creativo sono la fluidità: ossia la quantità di idee prodotte, senza fare riferimento alla loro qualità; la flessibilità ovvero la capacità di passare senza “perdere il filo” da un’idea all’altra; l’originalità che rappresenta  la capacità di trovare idee insolite per la risoluzione di problemi  e l’elaborazione che consiste nella capacità di approfondire fino in fondo la propria idea. Il pensiero divergente non fa parte di tutte le persone in quanto i più ragionano per risparmio cognitivo il che prevede l’applicare sempre un’unica idea per la risoluzione dei problemi. Per chiarire meglio l’ultimo concetto e riportarlo nel campo della fotografia, ci sono fotografi che una volta imparato una schema di luci o le posizioni che il corpo di una modella deve assumere, le ripetono all’infinito pertanto, nessuna variazione il che  porta alla staticità e fissità mentale che, ovviamente richiama la risposta alla domanda posta in precedenza.

D) Cosa distingue una fota di nudo da una foto voyeristica?

R: qui la risposta è altamente soggettiva in quanto io vivo la foto di nudo artistico come una foto tesa a valorizzare la femminilità del corpo umano (femminile o maschile) le immagini che ho in mente sono la “Venere” di Botticelli, i corpi nudi di Michelangelo nella Cappella Sistina, la Toilette di  Henri de Toulouse-Lautrec  e innumerevoli altri dipinti in cui il corpo umano pur essendo nudo è meraviglioso da guardare. Oggi come oggi la fotografia che più mi entusiasma è la boudoir che differisce dalla foto di nudo “volgare” perchè quest’ultima tende a sminuire e/o svalorizzare la donna o nei gesti o negli ammiccamenti. Parlo di foto “volgare” poichè la foto Voyeristica richiama alla mente colui che “guarda” e che quindi si tiene a distanza dal corpo umano pertanto Voyerismo e volgarità/pornografia assumono lo stesso significato. L’uomo o la donna che ammirano la fotografie Boudoir amano la sensualità ed un erotismo fine e raffinato mentre al Voyeur tutto ciò non interessa.

D) Cogliere l’attimo è il tuo mestiere: è nel tuo DNA?

Assolutamente si, questa mia prerogativa mi accompagna anche nel lavoro di psicologo poichè devo sempre essere pronta a cogliere ogni minimo segnale sia esso verbale sia, al contrario non verbale. Fotograficamente cogliere l’attimo significa cogliere quel momento di realtà difficilmente replicabile e per questo  i   generi di fotografia che amo sono i ritratti ambientati, la Street Photography e il reportage, tutti generi in cui cogliere l’attimo è fondamentale; immagini riprendere l’attimo di un passante che transita in strada in un cono di luce tra due ombre, il passante è interessante per abbigliamento o atteggiamento o ancora per colore…. quell’attimo non si coglierà mai più.

D) Cosa rappresentarai a Roma e all’Aquila

R. La fotografia è la stessa solamente la location cambia; lo scatto rappresenta una donna con sguardo abbassato, sembra assorta in se stessa in un atto di profonda riflessione interiore per questo il titolo è Pensèe (Pensiero in francese). La fotografia che verrà esposta ha assunto i connotati di un dipinto ad olio in quanto sarà circondata da opere pittoriche infatti avrò l’onore di esporre con nomi importanti del panorama artistico italiano tra i quali Turi Sottile, Lillo Messina, Alessandro Piccinini e Carlo Vigevani i quali, oltre ad essere grandi artisti sono i miei più cari amici e estimatori per loro, il mio fare fotografia è fare arte e per me , che più che fotografo sono un amante della fine-art, è un complimento che non ha eguali.

D) Cosa preferisci fotografare tra un uomo, una donna o un panorama?

R: per quanto risposto più sopra posso affermare che preferirei fotografarli tutti insieme magari al tramonto e nella mia città: Roma. Mentre rispondo immagino la scena, la compongo mentalmente e mi piace; una coppia ammira il tramonto affacciata ad uno dei ponti che danno su lungotevere, scelgo, nel pensiero, l’Isola Tiberina. La coppia viene ripresa da dietro e lei poggia delicatamente la testa sulla spalla di lui, il sole ormai al tramonto fa capolino tra lo spazio vuoto lasciato dalle testa dei due innamorati mentre le mani si stringono…. Ecco questo è l’immagine che i tre soggetti della domanda hanno fatto emergere dalla mia mente e chissà se questo imput si tradurrà in vera e propria immagine; per ora essa è mentale poi vedremo.

D) Cos’è la manipolazione fotografica?

R: è la capacità di giocare con tre o più scatti integrandoli tra loro fino a rendere gli scatti un’unica immagine. Nel mio portfolio ne ho abbastanza ed una di esse è stata scelta dal direttore del quotidiano Messaggero per parlare del “Bra Day” ovvero della giornata dedicata alla chirurgia ricostruttiva dopo un intervento di mastectomia. Scegliere di manipolare l’immagine è sempre un atto creativo che prenda vita nello spazio intrapsichico del fotografo che non ama soffermarsi sulla fotografia in sè e per sè ma che ama stravolgere i canoni della stessa.

D) L’uso dei cellulari ha inflazionato l’arte della fotografia?

R: I cellulari hanno reso le persone assuefatte all’immagine fotografica pertanto, anche le fotografie di alta qualità vengono guardate meno. Vivendo in una realtà altamente narcisistica l’uso del cellulare per scattare/scattarsi foto ha reso il fotografo “Professionista” meno importante. Sempre più spesso durante le cerimonie (matrimoni, battesimi, feste di laurea etc) assistiamo ad tale proliferazioni di immagini che il fotografo incaricato di immortalare l’evento  trova non solo  difficoltà a districarsi tra mani che scattano all’impazzata ma anche difficoltà a far comprendere i tempi di attesa . Molti fotografi infatti,vengono incalzati da chi commissiona le fotografie perchè vorrebbe averle tutte e subito, qui l’incapacità di comprendere che una foto professionale ha bisogno dei suoi tempi per essere sviluppata. In questa società “mordi e fuggi” non si è in grado di procrastinare, come quando la fotografia era a pellicola. In quegli anni tutti sapevamo che l’attesa poteva durare da tre a sette giorni, tutti aspettavamo con ansia di vedere cosa eravamo stati in grado di immortalare; l’attesa era piena di aspettative e lì era il bello…. l’attesa. Oggi l’attesa non esiste più, è un  tutto e subito, un mordi e fuggi e questo è, psicologicamente, devastante perchè è proprio l’attesa e l’aspettativa a rendere unica la vita.

D) Ci sono state esperienze personali che ti hanno portato a ritrarre un soggetto piuttosto che un altro?

R: assolutamente si, ricordo che fin da bambina i miei disegni erano caratterizzati da volti femminili in cui gli occhi erano messi ben in evidenza quindi, i ritratti fotografici sono una conseguenza di quei disegni. Andando avanti con l’età ho iniziato a studiare l’animo umano laureandomi in psicologia e preferendo la psicologia analitica di Carl Gustav Jung alle altre teorie psicologiche. Grazie a quest’incontro mi sono resa conto della mia personalità introversa e probabilmente ho iniziato, inconsciamente, a fotografare soggetti in atta pensieroso. Curiosa ed creativa  ho  iniziato a sperimentare la manipolazione fotografica che mi dona grandi soddisfazioni. Io sono, fotograficamente parlando, il prodotto della mia evoluzione animco/psicologica e ogni giorno aggiungo qualcosa di più al mio modo di vedere e quindi scattare poichè sviluppo parti della mia personalità. Ogni esperienza è crescita psichica, ogni amicizia è crescita animica dunque spero di crescere ancora moltissimo circondandomi solo ed esclusivamente di persone positive che possono fare da specchio al mio Io ancora in espansione.

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