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15 Novembre 2024

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La Senatore, amministratrice di Pellezzano, nella Direzione nazionale di Azione: “Per tornare alla politica che realizza cose”

“La politica ha bisogno di un pensiero che sia colto e complesso, cosa a cui la comunicazione politica ci ha disabituati con la semplificazione dei messaggi social, che di contro sono funzionali alla comunicazione della propaganda populista” è il pensiero di Alessandra Senatore, presidente del Consiglio Comunale di Pellezzano, eletta nella Direzione Nazionale di Azione.

“La politica quella buona – ha sottolineato in occasione del Congresso nazionale di Azione  -deve avere un orizzonte di senso attorno a cui sviluppare il discorso, il logos, che inevitabilmente deve fare riferimento ad un paradigma di idee che banalmente chiamerei ideologia.

Capacità pragmatiche, risposte concrete e buona amministrazione non possono prescindere da un pensiero ed un orizzonte teorico di conoscenza che è comprensione della realtà e dei fenomeni che l’attraversano, senza idee non ci sono proposte adeguate ma solo azioni scomposte e quindi scarsamente efficaci a governare processi e fenomeni.

La democrazia è un metodo che, come quello scientifico, serve a selezionare e verificare la validità di una teoria e la congruenza tra fini e mezzi politici, il processo democratico degenera quando cessa di adempiere a questa funzione sperimentale e diventa un mero spettacolo, il cui successo o insuccesso è privo di qualunque relazione con il successo o l’insuccesso delle politiche realizzate”.

Ha le idee chiare la giovane amministratrice di Pellezzano. ”Senza un orizzonte di senso attorno a cui organizzare il dibattito politico, gli elettori cessano di essere attori politici e si trasformano in pubblico plaudente o fischiante e la propaganda populista attecchisce e dilaga senza ostacoli ideologici capaci di arginarla.

Il livello di fluidità e fungibilità delle formazioni post democratiche è innegabile ed è tale per cui tutto è possibile: abbiamo visto vecchi riformisti che pur di mantenere una posizione di potere digeriscono di buon grado iniziative populiste come il taglio dei parlamentari, storici giustizialisti che improvvisamente diventano paladini del garantismo, mentre i più spudorati detrattori dell’euro si riscoprivano improvvisamente convinti europeisti all’ombra del Governo Draghi”.

Per la Senatore e’ fondamentale un ritorno alla credibilità politica. “In questo teatro del trasformismo post-ideologico non meraviglia – ha detto – che ci sia una crisi della rappresentanza e un crollo della credibilità della classe politica. 

Per recuperare credibilità i partiti devono reinventare una propria vocazione politica e ideologica, quella che negli ultimi anni hanno progressivamente perso trasformandosi in macchine di potere fini a se stesse, dedite soprattutto all’occupazione degli apparati politico-amministrativi.

 In questo scenario Azione rappresenta un progetto di rottura, direi rivoluzionario, nella misura in cui è stato fondato con un preciso orizzonte ideologico, quello del liberal socialismo, e si riconosce nel popolarismo sturziano. Il mercato come motore che va lasciato libero di spingere lo sviluppo e la crescita e lo Stato come regolatore che deve intervenire per correggerne le disfunzioni riequilibrandone gli esiti sulle disuguaglianze. 

La giustizia sociale è un’obbiettivo essenziale alla tenuta stessa delle democrazie avanzate che si reggono su un delicato equilibrio tra libertà, uguaglianza e appunto giustizia sociale. 

Quest’ultima reca in se l’antidoto alla propaganda del populismo”.

“Se il popolo unico e univoco –ha aggiunto – è un soggetto fittizio, il popolo concreto si rivela eterogeneo, contraddittorio e ingombrante per ogni regime e i movimenti che pretendono di incarnarlo, una volta al governo, non potranno che contenerne le spinte all’interno di un qualche sistema rappresentativo. Cosa che i populisti nostrani hanno provato a fare ma con risultati tutt’altro che positivi, perdendo quel potere persuasivo del parlare alla pancia. Ma il populismo è come un virus che varia e attacca gli organismi più fragili della società, e può assumere la forma dei NO Vax, dei NO Tav è così via”.

La Senatore ha chiara la visione e le cose da fare. In totale sintonia con il gruppo dirigente.

“Una delle principali sfide da realizzare quindi, anche per combattere il populismo – ma lo è in quanto obiettivo di sviluppo armonioso della società – è riuscire – ha rilanciato – a coniugare crescita e riduzione delle disuguaglianze, che sono connaturate in modo più o meno generalizzato, anche se non omogeneo, a tutte le democrazie avanzate, puntando a realizzare una maggiore equità e giustizia sociale.

Per farlo bisogna lavorare su alcune riforme strutturali fondamentali, che questo governo ancora non ha toccato:

-riforma fiscale 

-riforma del welfare

La capacità di ripensare ad un modello di un welfare efficace vuol dire pensare ad un welfare che non sia solo un costo ma piuttosto un investimento che non sia quindi rivolto a costruire consenso e privilegi per alcuni perche di per se questo non solo fa si che la redistribuzione non è efficace nel ridurre le disuguaglianze ma rappresenta in se un ostacolo alla crescita.

Se ad esempio tassiamo chi lavora e con quel gettito finanziamo misure come il reddito di cittadinanza per pagare chi non lavora invece di concepire investimenti che producano delle esternalità positive per le imprese come la Ricerca e l’innovazione, le infrastrutture materiali e immateriali capaci di sostenere la crescita e giustificare il livello della tassazione a cui le imprese sono sottoposte, è naturale che si producono disoccupazione e disuguaglianze”.

Visione e naturalmente analisi, ed i passaggi della sua riflessione raccontano tutto.

“L’Italia è tra i paesi europei che ha i maggiori livelli di disuguaglianza: tra garantiti e non garantiti, tra i redditi delle diverse generazioni o tra i generi, disuguaglianze territoriali, e ora anche le nuove disuguaglianze digitali.

Parliamo di livelli di disuguaglianza analoghi a quelle dei paesi anglosassoni (che storicamente però spendono poco in stato sociale) a fronte di un livello di spesa e di tassazione che è analogo a quello dei paesi come la Francia o la Germania, dove invece il livello di disuguaglianze e nettamente inferiore. 

In sostanza spendiamo tantissimo per il welfare ma l’impatto sulle disuguaglianze è inefficiente”.

“Come agire – si e’ chiesta – per conciliare quindi crescita e contrasto alle disuguaglianze?

Le leve restano un welfare più efficace, un’istruzione e una formazione di qualità ma anche relazioni industriali in grado di impostare ex ante una migliore distribuzione della ricchezza a fronte di investimenti e misure fiscali funzionali alla competitività delle imprese.

In generale una minore ingerenza dello Stato nelle dinamiche di mercato aiuterebbe la crescita e di conseguenza una migliore allocazione delle risorse, al contempo una maggiore razionalità nella gestione della spesa pubblica rivolta a riequilibrare e non al mero assistenzialismo clientelare

produrrebbe più giustizia sociale e anche più fiducia generalizzata nello Stato e i chi lo governa”.

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