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23 Dicembre 2024

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La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo condanna l’Italia al risarcimento della vittima di violenze per mancata tutela 

di Valeria Torri

Dopo 7 denunce presentate tra il 2015 e il 2019 contro l’ex marito violento e rimaste inascoltate, Silvia De Giorgi, quarantaquattrenne padovana, madre di tre figli, si è rivolta alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Il fatto

Silvia, nell’aprile del 2019, ha chiesto tutela alla Corte di Strasburgo affermando che le autorità italiane, per inerzia e indifferenza, non avevano protetto lei e i figli dalla violenza dell’ex marito, né impedito che continuasse.

I Giudici di Strasburgo hanno riconosciuto che le autorità italiane non hanno fatto il necessario per proteggere l’ennesima donna vittima di violenze domestiche, nonostante le sue ripetute denuncee hanno condannato l’Italia a risarcire Silvia con diecimila europer danni morali.

La storica sentenza rappresenta un precedente fondamentale a tutela delle vittime di violenza. La Corte di Strasburgo, infatti, ha condannato lo Stato italiano per violazione dell’articolo 3 della Convenzione dei Diritti dell’Uomo che vieta i trattamenti inumani e degradanti, giudicando, inoltre, grave il fatto che non sia mai stata aperta un’inchiesta sui maltrattamenti inflitti ai figli di Silvia. L’Italia, secondo i Giudici della Corte Europea, non ha saputo proteggere la cittadina e i suoi figli dalla violenza subita creando un contesto d’impunità per l’ex marito che si è sentito libero di proseguire nella sua condotta violenta a danno della sua famiglia. 

Il Governo italiano si è difeso, invano, affermando che le autorità “non sapevano e non potevano sapere che Silvia e i suoi figli erano in pericolo” e che la donna, nonostante le sette denunce presentate “non ha mai dimostrato di essere vittima di abusi e violenza domestica o che viveva temendo di essere aggredita”.

Questa è stata la quinta condanna dell’Italia negli ultimi cinque anni per casi legati alla violenza sulle donne e sui loro figli e il nostro Paese è già sotto sorveglianza nell’ambito della procedura di esecuzione davanti al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa.

L’organo esecutivo si attendeva, infatti, una risposta adeguata, efficace e rapida da parte delle forze dell’ordine e della magistratura italiane agli atti di violenza domestica per garantire la protezione delle vittime e, nel contempo, il loro accesso effettivo a un’assistenza adeguata.

In più il Comitato ha espresso preoccupazioni per l’oltre 50% dei procedimenti penali riguardanti violenza sessuale e domestica chein Italia si risolvono con un’archiviazione.

Un’indagine dell’Istat riporta dati agghiaccianti sul numero delle vittime e le forme della violenza: il 24,7% delle donne ha subìto almeno una violenza fisica o sessuale da parte di uomini non partner: il 13,2% da estranei e il 13% da persone conosciute. In particolare, il 6,3% da conoscenti, il 3% da amici, il 2,6% da parenti e il 2,5% da colleghi di lavoro.

L’insieme di questi dati dà la misura della gravità del fenomeno “inaccettabile”, secondo le parole del Presidente Mattarella, insieme alla “disparità sul lavoro”. «Le violenze, siano esse aggressioni fisiche per strada, nei luoghi di lavoro e di svago, in famiglia, o pressioni psicologiche e ricatti; il gap salariale a sfavore delle donne a parità di mansione; il sessismo nei colloqui di lavoro. Non dobbiamo più consentire che si chieda alla donna e soltanto a essa: “Sei sposata? Hai figli? Hai in progetto di avere figli?” collegando alla risposta un handicap per l’assunzione».

Le dichiarazioni

Titti Carrano, l’avvocata che ha portato l’Italia dinanzi alla Corte di Strasburgo in diverse occasioni per casi come quello di Silvia De Giorgi ha sostenuto che: «è ormai necessaria e non è più rinviabile in Italia una riforma organica e seria che affronti la violenza contro le donne non in chiave repressiva come fatto finora perché non ci sono stati risultati, ma in chiave preventiva e di riconoscimento della violenza. Dalla Corte europea dei diritti dell’uomo il messaggio è chiaro: affrontare la violenza in chiave preventiva. La Corte lo ha ripetuto in tutte le sentenze, dal caso Talpis al caso De Giorgi, le criticità rilevate sono sempre le stesse:tra queste l’assenza di valutazione del rischio, il non riconoscimento della violenza, la mancanza nei tribunali italiani di una visione d’insieme nella successione degli episodi, come richiesto nei casi di violenza domestica».

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