di Anna Adamo
Carolina Picchio nel gennaio 2013, a soli quattordici anni, si è suicidata lanciandosi dal balcone della sua cameretta nella quale lasciò solo una lettera ai genitori, all’interno della quale manifestò tutto il suo dolore.
Ebbene si, in quella lettera era racchiusa tutta la sofferenza di un’ adolescente vittima di cyberbullismo, di odio sui social network.
“Volevo soltanto dare un ultimo saluto. Perché il bullismo? Siete così insensibili? Ma, voi lo sapete che le parole fanno più male delle botte? Cavolo se fanno male” scrive Carolina, allegando, inoltre, sotto queste domande, i nomi di coloro che le avevano fatto del male.
A raccontare l’accaduto è il padre Paolo, manager in pensione ancora avvolto dal dolore che cerca di aiutare i giovani e a far si che non tocchi loro la stessa sorte che è toccata alla figlia.
Il racconto
“Ad una festa – racconta – Carolina si era ubriacata. Non lo faceva mai. Le amiche mi chiamarono intorno a mezzanotte, perché non riusciva a riprendersi, la trovai in bagno incosciente. Solo dopo la sua morte ho capito cosa era successo. Mentre era incosciente, in cinque avevano mimato atti sessuali su di lei, uno di loro aveva poi firmato il tutto e pubblicato il video sul web che è diventato virale. Tanti gli insulti e le ingiurie che si possono leggere tra i commenti, una valanga di odio senza fine”.
Paolo custodisce dentro se un dolore inspiegabile, ciononostante cerca di essere vicino ai ragazzi,di invitarli a parlare di bullismo, di quello che subiscono.
“In una parte della lettera – aggiunge – Carolina ha scritto: Voglio che si sappia la mia storia, perché in giro non sono solo io a soffrire di bullismo. Da quel momento ho capito che mi avesse lasciato un incarico, occuparmi dei suoi coetanei, delle vittime di bullismo per ottenere un diritto fondamentale: navigare in sicurezza”.
Paolo Picchio non è un uomo qualunque, è un uomo speciale. Un uomo che ha trasformato il suo dolore in forza da dare agli altri,ai ragazzi che soffrono come, in silenzio, ha sofferto sua figlia.
I ragazzi che incontra nelle scuole, sostiene siano la sua ragione di vita.
“Anche salvarne soltanto uno – conclude – mi avrebbe dato la forza per sostenere l’assenza di Carolina, ma per fortuna riusciamo a salvarne tanti.”
A lui, infatti, dobbiamo la legge che oggi definisce e sanziona il cyberbullismo e il diritto a navigare in sicurezza, provvedimenti i quali fanno si che mai più nessun ragazzo debba subire le sofferenze patite da sua figlia Carolina.