Valeria Torri
Non si tratta di nulla di nuovo per paesi come il Giappone o la Cina che ne fanno già largamente uso in ambito alimentare. Tuttavia, per l’Italia e per molti altri Paesi del mondo non è scontato pensare di consumare un pasto a base di alghe.
Eppure, ricorrere ad un’alternativa alle proteine animali è una necessità: innumerevoli studi accreditati hanno ampiamente dimostrato come l’allevamento di bovini comporti una produzione di carbonio altissima, emetta enormi quantità di metano e sia il principale fattore che influisce sulla deforestazione.
Ridurre il consumo di carne, in particolare di manzo, potrebbe, in definitiva, avere un importante effetto mitigante sui cambiamenti climatici.
Ma il pianeta ci chiede di cambiare dieta anche perché le stime che riguardano la crescita della popolazione mondiale attestano che nel 2050 saremo in 8 miliardi.
Malgrado non sia immediatamente percepibile l’urgenza del tema, il futuro è oggi e i governi devono adoperarsi per trovare soluzioni in grado di arrivare preparati all’appuntamento.
La soluzione potrebbe dunque presentarsi sotto forma di microalghe nutrienti, e ricche di proteine, coltivate in sistemi di acquacoltura, alimentati con acqua di mare e dunque ad alta sostenibilità ambientale.
In appena 30 anni le alghe potrebbero fornire il fabbisogno proteico del mondo intero: lo rivela una ricerca della Cornell University, Università dello Stato di New York, che spiega come abbiamo l’opportunità di coltivare cibo altamente nutriente e a crescita rapida, e possiamo farlo in ambiente in cui non siamo in competizione per altri usi. La ricerca della Cornell University assicura che saremmo in grado di produrre più di tutte le proteine di cui il mondo avrà bisogno e offrire un’alternativa all’agricoltura ad alta intensità di emissione di carbonio.
Allo stato attuale la produzione alimentare, soprattutto quella delle fonti proteiche popolari in occidente, come la carne bovina, ha un enorme impatto ambientale con la produzione di quasi 14 miliardi di tonnellate di anidride carbonica equivalenti, secondo uno studio del 2018, al 26% di tutte le emissioni di gas serra. Inoltre l’agricoltura occupa il 43% della terra libera dai ghiacci e dal deserto e contribuisce, in modo massiccio, alla deforestazione.
Per la coltura delle alghe invece vanno bene perfino le coste dei paesi desertici che possono diventare grandi produttori di cibo anche in mancanza di terreno fertile e acqua dolce, poiché le alghe non richiedono suolo e l’acqua viene dal mare.
Le alghe hanno anche il fondamentale vantaggio di crescere 10 volte più velocemente nelle colture agricole, di essere straordinariamente ricche, oltre che di proteine, di minerali, di aminoacidi essenziali, presenti nella carne, e di acidi grassi omega-3, spesso presenti nel pesce e nei frutti di mare.
Come avviare questa tendenza anche in Italia? Varando urgentemente politiche intelligenti e facendo leva sull’innovazione tecnologica. Il processo è in atto ma siamo in ritardo. Evidentemente il problema climatico non ha occupato ancora sufficientemente il nostro dibattito politico. E senza il sostegno dell’opinione pubblica, un’azione seria del governo è quanto meno improbabile.