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16 Novembre 2024

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La morte di Masha Amini come il battito d’ali della farfalla nella teoria del caos

di Valeria Torri

La protesta scatenata in Iran lo scorso settembre dalla morte di Masha Amini, la ventiduenne di origine curda, che era stata arrestata perché non portava il velo in modo corretto, ha visto donne e uomini riversarsi nelle strade di tutto il paese, in segno di ribellione nei confronti del regime e non accenna a placarsi.

Si tratta di una delle manifestazioni conto il regime islamico tra le più durature e diffuse della storia dell’Iran e sembra destinata, non solo a non arrestarsi ma anche ad avere riflessi e conseguenze nelle determinazioni della maggior parte dei paesi del Patto Atlantico, come mai era accaduto prima.

La morte di Masha Amini è come la farfalla di Edward Lorenz, il matematico e meteorologo statunitense pioniere della moderna teoria del caos, secondo la quale un batter d’ali in Brasile è capace di provocare un tornado in Texas. Così la protesta scaturita dal sacrificio della giovane iraniana sta sortendo effetti esponenziali, dal processo di rivolta endogeno contro il regime degli Ayatollah, al resto del mondo.

Ecco, dunque, che assistiamo ad una, seppur prudente, presa di posizione dell’Italia contro le violenze in corso in Iran. Quando ormai le proteste hanno superato il centesimo giorno, e con esse la brutale repressione del regime, l’Italia fa un primo passo ufficiale nei confronti di Teheran.

Il Ministro degli Esteri Antonio Tajani, difatti, pochi giorni fa ha convocato l’ambasciatore iraniano Mohammad Reza Sabouri, accelerando i tempi: il diplomatico di Teheran è soltanto designato perché non ha ancora presentato le credenziali al Quirinale “ma la gravità della situazione in Iran ha indotto il governo a fare questo passo”, ha fatto sapere la Farnesina. “Ho convocato l’ambasciatore iraniano per manifestargli l’indignazione e la preoccupazione dell’Italia per quanto sta accadendo nel Paese” ha detto il Ministro Tajani a margine della convocazione dell’Ambasciatore iraniano. “O vengono sospese le esecuzioni o continueremo a condannare con grande fermezza ciò che sta accadendo” ha detto ancora Tajani, “noi difendiamo i diritti umani, la libertà di stampa e la libertà di manifestare. Avevamo sperato che con la liberazione di Alessia Piperno ci fosse un’inversione di tendenza ma purtroppo così non è stato e quindi la posizione dell’Italia è stata ufficialmente riferita all’ambasciatore”.

Il regime teocratico iraniano ha una debole base popolare e atterrisce le persone, incarcerando, giustiziando, violentando per costringerle ad ubbidire. Ma nonostante la forte oppressione, la gente non ha paura, non fa un solo passo indietro rispetto ai propri ideali. Le donne e gli uomini iraniani uniti sembrano voler a tutti i costi la democrazia.

Punto di riferimento della protesta è un’altra donna, Shirin Ebadi, la prima musulmana a ricevere il Premio Nobel per la Pace e avvocato per i diritti umani, che spiega, nel suo libro “Finché non saremo liberi. Iran. La mia lotta per i diritti umani” edito da (Bompiani), come nasce il coraggio di lottare per le proprie convinzioni fino in fondo. 

“Finché non saremo liberi” è il racconto incredibile di una donna che non si arrenderà mai, non importa quali rischi dovrà correre. Il suo, è un esempio per tutti, che insegna il coraggio di lottare per le proprie convinzioni. Il testo va letto perché offre un punto di vista preciso, lucido e tendenzialmente oggettivo, pieno di passaggi anche illuminanti, come quello in cui l’autrice spiega alla figlia cosa significa davvero difendere i diritti umani: “Il campo dei diritti umani non è fatto di belle parole: è fatto di abusi sui deboli”.

Secondo l’autrice ”Il movimento che è cominciato porterà al crollo del regime ma è un processo che deve fare il suo corso. È un inizio che porterà alla fine della Repubblica islamica”.

Altre donne continuano ad unirsi alla protesta, rischiando la vita pur di aggiungere la propria voce al coro di chi ha deciso di non prostrarsi più alla legge islamica che vuole le donne sottomesse, nascoste, in silenzio.

L’ultima protesta silenziosa arriva da quella che è stata già soprannominata “la regina degli scacchi”.

Si chiama Sara Khadim al-Sharia e non ha indossato l’hijab al Campionato mondiale di scacchi in Kazakistan.

Unica donna iraniana con il grado di gran maestro femminile, riconoscimento più alto nel mondo degli scacchi, e con il titolo di maestro internazionale ottenuto a soli 18 anni. 

Già nel 2020 Sara Khadim al-Sharia aveva scelto di non indossare il velo, rimanendo temporaneamente esclusa dalle competizioni. La foto della ragazza, venticinquenne davanti alla scacchiera, con i capelli liberi proprio come l’animo suo, ha fatto il giro del mondo proprio mentre a Teheran il presidente Ebrahim Raisi lanciava il suo anatema contro i dimostranti: “Non avremo nessuna pietà”.

Eppure, il monito sembra sortire un effetto incredibile, proprio come quello della farfalla di Lorenz.  Per cui un fiato, un sussurro potrebbero, teoricamente, avere la forza di scatenare un coro di voci unite, capace di dare vita a una nuova democrazia.

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