di Valeria Torri
Durante la pandemia avevamo imparato ad accettare di rinunciare ai luoghi della cultura e delle arti e, tra questi, ci eravamo abituati a fare a meno del cinema. Tornati alla normalità, tra gli amanti della arte, ci si chiede come abbiamo fatto a stare senza.
E così, se ci si concede la possibilità di ascoltare il racconto di un grande regista, ci ritroviamo a trascorrere due ore nel luogo deputato ai sogni, capaci di ispirare sentimenti o pensieri anche profondi.
Il mese di febbraio ci offre la possibilità di apprezzare molti film che hanno già fatto parlare tanto di sé. Tra i pluricandidati agli Oscar 2023 (la cerimonia di consegna è prevista il prossimo 12 marzo, 13 mattina in Italia) merita di essere visto “Gli spiriti dell’isola”, del regista Martin Mcdonagh, che ha entusiasmato la Mostra del Cinema di Venezia.
Il protagonista, un superlativo Colin Farrell, già premiato con la coppa Volpi, è tra i favoriti della categoria miglior attore protagonista. Brendan Gleeson, anche lui candidato all’Oscar, lo affianca in un ruolo da co-protagonista.
Il film, all’inizio, è spiazzante: sembra di assistere a una commedia insolita che si sviluppa sulla immaginifica ma realistica isola di Inisherin, in un piccolo villaggio di poche anime a largo della costa irlandese.
Il periodo storico è quello degli inizi degli anni 20 del secolo scorso; anni della fratricida guerra civile d’Irlanda.
Il contrasto tra la placida Inisherin e la guerra che si combatte sulla terra ferma è davvero marcato.
Tutto sull’isola è pacifico, almeno all’apparenza. Il verde brillante dei prati, il blu intenso del mare a perdita d’occhio, le piccole case coloniali, i panni al sole. Soltanto il suono incessante del vento e il sommesso vociare del pub (pubblic house) del paese sembrano rompere il silenzio tutto intorno.
In questa realtà, fuori dal mondo, fatta di poche vite semplici, si consuma il dramma silenzioso e straziante delle relazioni tra le persone, talvolta non meno cruento e sanguinoso di quello vissuto dalle vite scosse dalla guerra. Accade così che l’anziano Colm (Gleeson) decida, di punto in bianco, di non parlare più con l’amico Pàdraic (Farrell), uomo giovane e ingenuo, tanto da stentare a credere di essere liquidato così, senza una spiegazione dal compagno di bevute. Sua sorella Siobhan (Kerry Condon) – personaggio tanto intenso quanto delicato – gli consiglia di non cercare ragioni complicate nella scelta dell’amico il quale, a suo dire, potrebbe banalmente non avere più voglia di frequentarlo. Ma Pàdraic non può credere che l’appuntamento delle 4:00 al pub, a bere una birra e a parlare del colore degli escrementi della sua asina, siano momenti dei quali l’amico può, all’improvviso, fare a meno.
Il vecchio Colm, uomo dall’espressione fissa come poche, inquietante per questo, decide che quel che resta della sua vita debba essere speso in qualcosa che gli sopravviva. Stabilisce, perciò, che deve dedicarsi alla sua passione per il violino, e che scrivere una bella musica diventerà il suo passaporto per una rinnovata esistenza che, diversamente, sarebbe destinata ad essere dimenticata. Per questo, sacrifica l’amico Pàdraic – divenuto improvvisamente insulso ai suoi occhi – a favore della solitudine dello spartito nel quale si riversa completamente.
Pàdraic, sconcertato dalla violenza improvvisa di un banale “non mi vai più a genio”, insiste con l’uomo per andare a fondo delle ragioni di quella scelta, che continua a ritenere del tutto insufficienti a potersi rassegnare. E, nella ricerca dolorosissima in cui si lancia, capisce di non essere l’uomo felice che credeva, bensì un essere percepito dagli altri come inutile e noioso.
Splendido il suo breve monologo, quasi infantile, sulla gentilezza, portata al più alto dei valori per sé e per la sua famiglia. Suo padre e sua madre erano gentili, dice, sua sorella è gentile, e saranno ricordati per questo. Ma Colm, senza nascondere un sorriso di sufficienza sul volto, gli risponde cinicamente che mai nessuno è stato ricordato per la sua gentilezza.
Attorno al rifiuto di un’amicizia e di un amore (ma di questo non parleremo per preservare il piacere della visione del film) si sviluppa la trama di quest’opera che segue i personaggi lungo la spirale sempre più violenta di accadimenti in cui li trascinano i sentimenti.
L’esperienza de “Gli spiriti dell’isola” è uno stimolo a riflettere sull’importanza di uno sguardo, di un saluto, di un gesto d’aiuto a un amico, offerto o rifiutato; sulla forza devastante di un sogno infranto. È un monito contro l’individualismo imperante dei nostri tempi, che si ostina nella ricerca del sé anche a costo di sacrificare la felicità altrui. E, per l’appunto, il film è anche un invito a considerare con maggiore attenzione il danno che procuriamo agli altri nel momento in cui anteponiamo i nostri bisogni e le nostre attese alla cura di chi – in un modo o nell’altro – ci vuole bene. In questo senso gli spiriti dell’isola sono proprio i sentimenti. Invisibili, ma capaci di elevare l’animo umano o di confinarlo nell’abisso più profondo.