di Luigi Mazzella
La richiesta di Emmanuel Macron e di Ursula Von der Layen rivolta al Presidente cinese Xi Jinping per un intervento immediato su Zelensky, con una chiamata o un incontro, è il segno, nello stesso tempo, della stretta dipendenza dei due leader europei dai “pupari” statunitensi e della loro ingenuità veramente sorprendente per persone politiche su cui pure incombono grandi e gravi responsabilità politiche.
Che cosa si aspettavano? Che Xi Jing Ping prendesse subito in mano il telefono per convincere un riluttante Zelensky, (insensibile ormai alle stesse richieste sotterranee del Deep State di Washington e della lobby finanziaria di New York e a quelle, velate ma chiare dello stesso Biden) o che confessasse ai suoi interlocutori che l’intervento l’avrebbe fatto solo quando avesse visto gli Stati Uniti sostanzialmente “in brache di tela”?
Che questa fosse la riserva mentale (il propositum in mente retentumdei Romani) del Presidente cinese lo si poteva facilmente intuire.
D’altronde, le premesse per una “vicina” debàcle dell’attuale presidenza statunitense erano già numerose e conosciute anche nei ventisette Stati dell’Unione Europea: le future elezioni non promettevano nulla di buono per Biden cui non era bastato voler risparmiare il “dolore” consueto alle mamme americane con l’invio di truppe in conflitti armati fuori dai confini statunitensi per convincerle ad accettare l’idea di una guerra permanente con il mondo intero.
Inoltre, il ridicolo processo a Trump, per eliminarlo dall’agone politico, con la “risposta” dell’estromissione in Tennessee di tre membri democratici da parte dei repubblicani la dicono lunga sul livello di tensione esistente nel nuovo continente: molto vicino a quello di una guerra civile.
Se a ciò si aggiungono: la consapevolezza raggiunta dai repubblicani di doversi riprendere il potere politico finito nelle mani del Deep State degli agenti segreti e dei militari e la stanchezza degli Stati-membri dell’Unione Europea di dissanguarsi per “ordine superiore” in favore dei nazisti Azov di Zelensky che combattono aspramente contro i nazisti Wagner di Putin, si comprende che verosimilmente i tempi per un intervento risolutivo di Xi Jinping non sono così lontani.
Xi del resto lo ha detto, con fredda e lucida determinazione: lo farò ma a tempo debito.
C’è chi intravede una “coda” a quella frase: “quando sarà divenuta attuale anche il tema dell’unità nazionale cinese”.
Il problema è complesso, ma meno per noi Italiani che per raggiungere l’unità nazionale abbiamo affrontato ben tre guerre dette d’indipendenza (peraltro solo relativa) del nostro Paese.
Le guerre che potremmo definire “di ricompattamento territoriale”, combattute da popolazioni che intendono unirsi in un’unica nazione per ragioni (fondate o infondate che siano) etniche, linguistiche, culturali e altro si prestano raramente a valutazioni univoche e a giudizi concordi: vi sono zone di confine dove è scontata la situazione in cui una parte denuncia l’aggressione alla propria integrità territoriale e l’altra il proprio diritto a occupare terre ritenute storicamente e culturalmente di sua pertinenza.
In particolare, la parte del Nord Italia che l’Austria chiamava Sud Tirolo (assumendo che facesse parte del suo territorio) e che gli Italiani denominavano Alto Adige e rivendicavano insieme a Trieste e Trento, fu annessa, nel 1920, al Regno d’Italia,dopo la sconfitta dell’Austria nella prima guerra mondiale.
Il bilinguismo che contraddistingueva la popolazione e l’esistenza di vecchie ruggini rendevano difficile la convivenza tra italiani e austriaci.
Solo la stipula di un ottimo accordo, sottoscritto da Alcide De Gasperi e da Karl Gruber, nel 1946, dopo la fine del secondo confitto mondiale riuscì a garantire il rispetto dell’autonomia dei cittadini delle due diversa nazionalità.
Tale modo di risolvere, unicamente tra le parti, un conflitto di appartenza territoriale è divenuto impossibile dal momento in cui è iniziata, nel 1947, la guerra fredda tra l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti d’America.
Quel conflitto apparentemente cessato nel 1991 ha ripreso poi a vivere e con più forza, anche dopo il crollo del regime sovietico, tra Russia e America. Esso fa sì che oggi le questioni di fondo dello scontro attuale con l’Ucraina, pur essendo le medesime del caso italiano, siano divenute la causa di un sanguinoso e distruttivo conflitto che rischia di divenire mondiale e nucleare.
Per l’Ucraina, l’America ha tirato in campo addirittura la NATO (chiaramente in funzione offensiva) e l’ipotesi di un accordo del tipo di quello sottoscritto da Alcide De Gasperi e da Karl Gruber è diventato inevitabilmente una mera chimera.
Il fatto più grave della persistenza dell’ imperialismo americano è che Xi Jinping sa che la stessa situazione potrebbe ripetersi molto probabilmente, se la Cina, abbandonata la politica di Mao Tse Tung e portatasi nell’alveo del pieno capitalismo e dell’economia di mercato iniziasse una guerra del tipo di quelle combattute dall’Italia nel Risorgimento e volesse annettersi Taiwan come fece il Bel Paese con Trieste e Trento.
Xi Jinping è un uomo saggio e sa che l’America del Nord è una “brutta bestia” non facilmente domabile e neppure riconducibile con argomenti plausibili alla ragione.
Fino a quando essa non uscirà stremata dalla guerra in atto, la chiamata del Presidente cinese a Zelensky non vi sarà. Macron e Von der Layen avrebbero potuto capirlo… ma oggi la politica, sull’esempio dell’America, non è finita certamente in buone mani. Pazienza!