L’ex premier, Massimo D’Alema, al “Corriere della Sera” dice sulla morte di Berlusconi: “Ho provato dispiacere. Berlusconi era un combattente. Un avversario, certo, ma un uomo capace anche di suscitare ammirazione e persino simpatia dal punto di vista umano”. Quanto al lutto nazionale: “E’ una decisione che corrisponde a un sentimento non di tutti, certo, ma di una parte importante degli italiani. Non credo che debba essere materia di polemiche”. La prima volta che ha incontrato Berlusconi “era il 1992, ero capogruppo alla Camera del Pds e a Montecitorio si discuteva un provvedimento che gli stava molto a cuore. Gianni Letta mi disse che Berlusconi avrebbe voluto incontrarmi. Ci vediamo in un ufficio di Fininvest a Roma, c’era anche Confalonieri. E Berlusconi fu bravissimo: per tutta la durata dell’incontro non fece mai riferimento alla legge che gli interessava”. “Disse che era molto contento di conoscermi, – ricorda D’Alema – che era colpito dalla ‘rara capacita” che avevo di spiegare la politica mentre i politici normalmente parlavano in modo ‘aggrovigliato’, che si vedeva che avevo fatto il giornalista. Quanto a quel provvedimento, noi continuammo a opporci e alla fine non passo'”.
L’ex segretario del Pds capi’ “abbastanza presto” che Berlusconi li avrebbe sconfitti alle elezioni del ’94: “Anche perche’ vidi che buona parte dell’elettorato salentino del mio collegio di Gallipoli, tradizionalmente democristiano, stava slittando verso ‘il candidato di Berlusconi’, un esponente del Movimento sociale che in condizioni normali avrebbe preso il 5 per cento. Mi resi conto che lui era riuscito a mobilitare il corpo profondo del moderatismo italiano contro ‘il pericolo comunista’”. “Era riuscito – sottolinea – a catalizzare il voto conservatore e a riempire il vuoto lasciato dalla caduta del Caf (Craxi, Andreotti, Forlani). Nel nome dell’anticomunismo ma anche presentandosi come ‘il nuovo’ contro la vecchia politica dei partiti. Una miscela geniale di tradizione e innovazione”.
Sulla Bicamerale spiega: “Era nelle tesi dell’Ulivo, non nelle volonta’ di D’Alema. La commissione si concluse con un larghissimo voto favorevole e l’approvazione di una riforma costituzionale di quella ampiezza avrebbe evitato la demonizzazione reciproca di cui ha sofferto la nostra democrazia. Di questo si sono occupati in pochi; gli altri erano concentrati sulle dietrologie, sulle crostate e sugli inciuci. Io credo che la decisione di Berlusconi di rinnegare il voto favorevole e di schierarsi contro in Aula fu un grandissimo errore”.
D’Alema non si e’ pentito per essere andato in visita a Mediaset e averla definita ‘patrimonio del Paese’: “Tutt’altro. Era un segnale agli imprenditori, non solo a Mediaset, mentre Berlusconi ci dipingeva come comunisti nemici della libera impresa”. Nel 2006 Berlusconi gli ha sbarrato la strada per il Quirinale: “Dopo la vittoria elettorale del 2006 il mio nome circolo’ come possibile candidato del centrosinistra e sembrava che Berlusconi non fosse contrario. Poi, forse dopo aver sentito i suoi, mi telefono’ con grande cortesia per dirmi che rappresentavo troppo ‘una parte’. Gli risposi che aveva ragione. Mi consultai con Fassino e chiamammo Napolitano. Che poi, ovviamente, Berlusconi non voto'”. Il Cavaliere ha avuto qualche ragione nel ritenersi perseguitato da alcuni giudici: “Probabilmente si. Ma credo che Berlusconi abbia sollevato un problema reale declinandolo nel modo sbagliato. E cioe’ interpretandolo come se ci fosse il complotto dei magistrati di sinistra contro di lui. In realta’ quello che si era determinato nel nostro Paese era stato uno squilibrio nei rapporti tra poteri dello Stato, questa e’ la verita’. II tema era il riequilibrio, non il complotto contro Berlusconi. E alla fine – conclude D’Alema– quel suo scontro con i giudici ha creato un clima nel quale non e’ stato possibile fare nessuna riforma”.