di Valeria Torri
Per i tifosi che si uniscono in una fede il calcio è avvertito come un elemento identitario, un luogo, un simbolo di appartenenza, un elemento comune sul quale riconoscersi tra simili e contrapporsi agli altri: la “specie” differente.
In questo sentire profondo, quasi ancestrale, i tifosi si raggruppano e si scontrano come titani pronti a urlare come ossessi alla vista di un goal. Nell’ossessione per il risultato, il gesto di prodezza atletica del calciatore diventa il passaporto per la celebrità e un ragazzo, tra gli altri, assurge a idolo della folla. Le società calcistiche si sfideranno a colpi di contratti milionari pur di accaparrarsi l’asso nella manica che porterà la squadra a vincere il campionato e quel giovane talento diventerà ricco oltre ogni immaginazione.
La vita di un calciatore di successo può far sognare non soltanto il tifoso devoto ma anche un padre che crede di scorgere nel figlio la scintilla del campione. Un desiderio, si sa, se molto forte, può tramutarsi nell’ambizione di grandi risorse economiche e di un futuro nel quale tutta la famiglia possa accumulare immense fortune, garantendosi agi e privilegi da mettere in mostra.
Una sequela, questa, che sembra girare nello sguardo attento di quei padri che analizzano ogni calcio al pallone del proprio bambino di 6, 7, 8 anni, sui campetti in erba di ogni scuola di calcio in città.
Ora, come si possa passare dall’idea di trascorrere una domenica mattina al campetto, dove si sta disputando il torneo di calcio degli under 10, alla convinzione che il proprio figlio non possa essere lasciato in panchina nell’assoluta certezza che non solo si sta mortificando un talento in fasce ma che, così facendo, il mister sta compromettendo le possibilità di una sicura vittoria, non è dato saperlo.
E’ un fatto che, la scorsa settimana, a Monza, l’ira funesta di alcuni padri, genitori di baby calciatori antagonisti, abbia dato vita a una rissa. Il mister, nel tentativo di riportare dignità nel gruppo degli assatanati, ha finito per subire un’aggressione che lo ha portato in ospedale, in gravi condizioni, dove si è reso necessario asportargli un rene.
Un finale che ha fatto notizia perché c’è quasi scappato il morto. Ma sappiamo che non si tratta di un caso isolato. E’ oramai una triste consuetudine quella in cui cattivi genitori offrono il peggiore degli esempi a bambini che, credendo di giocare semplicemente a pallone, stanno anche imparando che sul campo di calcio si combatte perché ciò che davvero è in gioco: l’ambizione appagata del padre. Imparano che stare in panchina è un’ingiustizia da contestare urlando e sbattendo i pugni. Imparano che dare il massimo potrebbe anche significare non essere abbastanza, non essere all’altezza delle aspettative.
Per fortuna esempi virtuosi, pochi per ora, ce ne sono. Fanno meno notizia ma dovrebbero essere tenuti in grande considerazione. La Polisportiva Nikè, a Pellezzano (SA), diretta dal Presidente Leonardo Di Francesco, fondatore della prima scuola di calcio di Salerno, circa 40 anni fa, rappresenta un’isola felice. L’obbiettivo della Nikè è quello di far praticare sport ed evitare di creare aspettative nei bambini.
Ne abbiamo parlato con uno degli allenatori, il mister Mimmo Corso, che ci ha spiegato che per i ragazzi quell’ora in campo col pallone è poesia, dopo di che c’è la bicicletta, il pallone per strada, la pizzetta e tutto il resto. Perché, finita la partita, i bambini non ci pensano più, vanno avanti a fare altro. Sono i genitori, invece, che si avvicinano con l’intento di chiedere spiegazioni, di dare un consiglio tecnico all’allenatore, di muovere una critica all’arbitro, rammaricati, nella migliore delle ipotesi, che un goal non è entrato, che si è persa la partita o, Dio non voglia, il torneo. “Non c’è cultura sportiva a nessun livello”, dice il mister. “Oggi i padri, in particolare, sono troppo presenti, alle volte oppressivi. Vengono a vedere la partita dei figli con lo stesso spirito col quale vanno allo stadio a vedere quella della squadra del cuore. Perciò, noi allenatori, per tenere lontane certe persone, siamo costretti a tenere i loro figli meno presenti in campo, proprio per evitare incidenti come quelli di Monza”.
Al termine del corso di scuola calcio di quest’anno, il mister Corso ha voluto salutare i genitori con un tuonante messaggio sulla chat dei genitori mettendo in chiaro pochi ma semplici concetti per l’anno nuovo: “Buonasera, riguardo alcune lamentele che sono state fatte sulla divisione delle squadre per il nostro Torneo di fine anno, mi dispiace dover tornare sempre sugli stessi argomenti, ma, evidentemente non mi esprimo con chiarezza. Se c’è qualcuno tra di voi che pensa di avere un figlio campione, lo invito a visitare altre realtà dalla prossima stagione; se c’è chi pensa di sfogare lo stress settimanale sui campetti di calcio, lo invito a fare lo stesso; per gli amanti della polemica ad ogni costo, l’invito è il medesimo. Siete tutte persone perbene, distinte e anche di certa cultura ma alcune cose stanno prendendo una piega che a me non piace e, quando parlo di me, ovviamente, mi riferisco alla linea che noi adottiamo da circa 30 anni. Bisogna finirla di pensare a questi maledetti risultati, vittoria sconfitta non ci interessano. Con noi dovete parlare di crescita, di miglioramenti coordinativi e comportamentali di bambini di 7 anni. Abbiamo gestito 20 bambini per un anno interessandoci del bambino e non del calciatore sotto ogni aspetto. Ma tutto si riduce sempre alla partita, al bambino più forte o quello meno forte. E questo per noi è una sconfitta. Sappiamo benissimo noi tecnici, noi persone qualificate (forse qualcuno a volte dimentica che non siamo disoccupati messi lì a caso) che ci sono bambini più avanti rispetto ad altri. Notiamo tutto di ogni bambino, da come mette un piede in campo a come pone una domanda ad un mister o a come si relaziona con un compagno. E curiamo i vostri figli nel complesso dell’apprendimento, non solo calcistico. Forse il fatto che ognuno di voi si senta in diritto di dire la sua è dovuto ad un eccesso di confidenza. Tutto si può dire, per carità: le critiche sono ben accette, se costruttive. Meno i pettegolezzi. Avete il mio numero, io vi darò tutte le spiegazioni del caso come ho sempre fatto. Siamo a fine anno e abbiamo deciso di fare delle scelte di gioco infischiandocene di questi maledetti risultati, come sempre. Siamo una scuola calcio e parliamo di bambini e di attività di base. Spero di essere stato chiaro. Diversamente, per me significherà aver fallito.”
Un messaggio significativo che probabilmente restituisce un po’ di quel sapore che hanno le cose semplici, come quelle legate al ricordo del calcio dei mondiali dell’82, quando Zoff, Rossi e Cabrini mostravano la bellezza di questo sport prima che fosse sacrificata alle regole del calciomercato.