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18 Novembre 2024

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“C’è ancora domani” il film della Cortellesi sul ruolo della donna nel 1946, più attuale che mai

di Valeria Torri

Il film di Paola Cortellesi “C’è ancora domani”, in programmazione nelle sale dei cinema, è un film importante. 

Ha il merito grande di aver riavvicinato il pubblico al cinema italiano, da tempo in uno stato di totale asfissia creativa, e il merito gigante di aver ricordato a tutte e a tutti quali traguardi abbia raggiunto la lotta femminista e, di riflesso, quanto siamo tenute e tenuti a tutelarli in questo momento storico particolarmente ostile alla donna e a tutto ciò che appresenta. 

Da sempre il corpo della donna è teatro di abusi: quelli dei maschilisti che piuttosto che sapere la propria donna libera preferiscono saperla morta; quelli della propaganda che dichiara di voler difendere le donne dalla violenza dello straniero allo scopo di fondare le sue politiche identitarie e razziste; quelli delle guerre, che sempre fanno del corpo femminile un campo di battaglia, usando lo stupro come arma contro il nemico. 

Ma l’attacco al quale stiamo assistendo è quello sistemico alla volontà e alla consapevolezza della donna, attraverso organizzazioni che hanno intercettato nei partners istituzionali un valido alleato: pensiamo alle destre radicali, agli integralismi cattolici, ai governi che fanno tagli al welfare e organizzano il mondo del lavoro in un modo che è ostile alle donne. 

Un attacco, più propriamente, al movimento globale delle donne che, nel tempo, ha fatto grandi battaglie per ribellarsi alle coercizioni, sfruttamento e gerarchie del patriarcato. 

Movimento che oggi è molto distante dal femminismo di Stato, cioè da quello delle pari opportunità interprete della richiesta femminista come semplice conquista della metà dei posti. 

Il femminismo di oggi è un movimento molto forte perché è quello del “99%”, come qualcuno lo ha definito, e non quello della singola eccezione che sfonda il tetto di cristallo e lascia tutte le altre a raccogliere i pezzi. 

E’ radicale perché vuole cambiare completamente il sistema, unendo le lotte al razzismo, al fascismo, alla transfobia, al sessismo, alla lotta sul lavoro. Ed è per questa ragione che è potente e fortemente osteggiato da chi detiene il potere.

Se da un lato, dunque, le donne sono vittime del sistema dall’altro sono anche artefici di una liberazione sociale che non riguarda solo loro stesse ma l’intera struttura che, così com’è, non funziona più.

In questo contesto, il film “C’è ancora domani” non tratta soltanto della nascita del primo femminismo italiano; parla, di riflesso, di tutti gli ideali di emancipazione di ogni categoria oggetto di processo di minorazione che, mai come oggi, viene contrastata con preoccupante determinazione.

Per questa ragione il film di Paola Cortellesi, attraverso il racconto di un passato recente in cui la donna era asservita alla cura della famiglia e azzittita sulle decisioni spettanti al capo famiglia, le serve per parlarci di un presente in cui i diritti conquistati vengono messi in discussione.

La nostra attualità politica e sociale è quella di una deriva conservatrice che attacca i diritti a tutto tondo, con discorsi razzisti, omofobi e sessisti, come sempre d’altronde. Ma ciò che è differente rispetto al passato, fatto di un odio scomposto affidato alle chat della rete, è il linguaggio divenuto sofisticato. 

Per cui, per esempio, le istanze di modifica della legge sul diritto all’aborto hanno trovato affermazioni positive per cui esiste la tutela di un diritto superiore a quello della madre. 

Diritti come quello della libertà all’interruzione della gravidanza, che fanno parte del cammino della donna verso la conquista di obiettivi “di genere”, sono, per la prima volta, in pericolo e, con loro, il processo di consapevolezza della donna di potersi attribuire il potere anziché chiederlo. In questo contesto sociale, politico e culturale, l’arte svolge il suo ruolo di interprete della realtà, la converte in poetica e diffonde il suo messaggio con la stessa potenza della propaganda, assumendo posizioni critiche e di contrasto, in aiuto ad un’opposizione politica non altrettanto abile a svolgere il suo compito. E’ questo l’intento, e l’obiettivo raggiunto, di Paola Cortellesi attraverso il suo ultimo film del quale c’era davvero bisogno.

La rappresentazione è quella della lotta del più debole contro il più forte che prevarica e opprime con la prepotenza che si è arrogato. Sembra, a tratti, di assistere a un thriller, per l’ansia e il peso sul petto provocati dall’assistere al perpetrarsi di un’infamia autorizzata, quella della violenza domestica dell’uomo sulla donna e quella del ruolo in cui questa viene relegata. 

La modalità con cui la protagonista arriva a riscattarsi passa attraverso la resistenza quotidiana, da una rinnovata coscienza di sé, da un’enorme dose di coraggio e, soprattutto, dalla generosità che caratterizza il fare delle donne che sanno mettere sé stesse da parte per diventare strumento di crescita ed emancipazione comune.

E’ questo il portato rivoluzionario del messaggio femminista, unico movimento politico di tutto il ‘900 che ha proposto una modalità di governo e di potere alternativi rispetto al modo in cui normalmente è stato esercitato il governo politico in Europa ed è questo il tema riportato alla ribalta dalla Cortellesi con il suo indimenticabile lavoro.

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