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16 Ottobre 2024

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Interprete, docente universitaria e rappresentante Young di Fidapa. Intervista a Federica Loddi


di Anna Adamo

I genitori le hanno fatto seguire corsi di inglese fin da bambina, ma è solo durante la prima lezione di spagnolo al liceo che Federica Loddi, giovane interprete e docente universitaria per i laboratori di interpretariato, si è innamorata delle lingue.
“La professoressa di spagnolo, venezuelana per la precisione, entrò in classe parlando la sua lingua madre. Ricordo – racconta – che rimasi incantata mentre la ascoltavo e avrei voluto che non smettesse mai. In quel momento capii di voler studiare lingue in modo approfondito, per questa ragione mi sono concentrata sullo spagnolo e ovviamente sull’inglese, la cui conoscenza oggi è imprescindibile.
La passione per l’interpretariato è arrivata successivamente, nel momento in cui ho capito che il lavoro dell’ interprete non solo avrebbe potuto permettermi di lavorare attivamente con le lingue ed essere utile alla collettività, ma sarebbe potuto essere anche un modo per entrare in contatto e apprendere da sistemi linguistici e culturali diversi tra loro.”
Quelle di Federica sono parole piene di passione per il lavoro che svolge, ma,soprattutto, sono parole di una donna che non si ferma davanti a nulla e ogni giorno si impegna per far si che le donne abbiano le stesse opportunità degli uomini e non vengano mai messe da parte.
È, infatti, anche rappresentante Young di Fidapa.

Quali sono le difficoltà alle quali deve far fronte una giovane donna che, come te, lavora nel mondo dell’interpretariato? E quali, invece, sono i vantaggi?
Credo l’interpretariato possa essere, nel suo piccolo, una forma di Empowerment femminile.
Si pensi ad una situazione in cui vi sono due figure maschili che necessitano dell’interprete per poter dialogare e l’interprete in questione sia donna: la responsabilità di “mediazione”, “ponte”, “raccordo” spetta a lei e gli speakers, in tal senso, dipendono da lei.
Questo non vuol dire, di certo, avere potere, ma riconoscere che in sua assenza la comunicazione non potrebbe avere luogo ed è dunque nelle mani dell’interprete stessa.
Non si può negare, però, che il rischio di scambiare l’interprete donna come “bella statuina” esiste.

Da docente universitaria, cosa cerchi di trasmettere ai tuoi studenti?
L’importanza del ragionamento.
In cabina, durante una sessione di simultanea, l’interprete non svolge un mero lavoro di traduzione e, certamente, non può tradurre parola per parola il discorso dell’oratore poiché i sistemi linguistici, sintatticamente parlando, spesso tra loro non combaciano.
Dunque, c’è bisogno di capire il senso di quello che viene detto per poter trasmettere chiaramente il messaggio, magari anche rimodulando la frase. In tal senso il ragionamento è essenziale e funzionale allo scopo.
Inoltre credo che imparare a ragionare possa aiutarci a far fronte a una società che è sempre più in balia dell’I.A. che, se mal gestita, rischia di creare automi e cervelli atrofizzati.


C’è un aspetto dell’ambito scolastico universitario che ritieni debba essere modificato o migliorato?Perche?
Sotto il profilo della didattica delle lingue straniere, credo dovrebbe essere rivoluzionato e non basarsi quasi per via esclusiva sulla spiegazione delle regole grammaticali. All’estero i ragazzi entrano maggiormente in contatto con la lingua straniera parlata e ascoltata già dai primi anni di scuola, sviluppando gradualmente e prima di noi italiani una capacità linguistica attiva più elevata.
Per il resto, le notizie circa studenti che colpiscono fisicamente i docenti o genitori che si lamentano con i docenti stessi per aver messo un’insufficienza ai loro figli credo parlino da sole.
Quando io ho terminato la scuola, per l’esattezza nel 2013, quindi non molto tempo fa, notizie di questo genere risultavano “scandalose” nell’etimologia greca del termine. Non mi sento di dire lo stesso a distanza di undici anni.

Sei anche molto impegnata nel sociale, in quanto rappresentante Young di Fidapa. Cosa ti ha spinto a scendere in campo e ad essere al fianco di così tante donne?
Ogni giorno sentiamo attraverso i notiziari e leggiamo di donne che subiscono violenza di ogni genere.
Si parla poco, però, di quella che io considero la violenza più subdola: quella psicologica.
Quest’ultima non lascia segni, né lividi visibili ma ti corrode dentro, ti snatura e porta a non riconoscerti più.
Può spingerti persino al suicidio.
Molte donne non sanno neanche di essere vittime di questo tipo di violenza o, se lo sanno, hanno magari vergogna a parlarne perché si colpevolizzano o sentono di non essere
capite.
In tal senso, il confronto con qualcuno che vive o ha vissuto la stessa esperienza può davvero aprire loro gli occhi, aiutare a non far sentire sole le donne ed evitare l’irreparabile.

Ancora oggi si tende a porre le donne un passo indietro agli uomini. Ti sei mai trovata in una situazione del genere?Come hai reagito?
Primo incarico di lavoro, 24 anni: dovevo fare lezione di inglese a un Manager.
Al primo incontro, al momento dei convenevoli, mi è stato chiesto quanti anni avessi. A mia risposta, di rimando mi è stato detto: “Chissà cosa hai mai fatto per essere qui oggi”. Non sapevo cosa rispondere, mi sono limitata a sorridere.

Sulla base della tua esperienza, quali sono le maggiori difficoltà alle quali le giovani donne devono far fronte? Cosa si può fare per eliminarle?
Difficoltà legate ancora a vecchi stereotipi. Per quanto un uomo oggi sia molto più presente nelle dinamiche domestiche e le donne sono lavoratrici, ci sono ancora tante persone, donne comprese, che pensano che sia la donna nella maggior parte a doversi far carico di questi aspetti.
Ciò comporta problemi risaputi come la disparità salariale o la famosa domanda ai colloqui “In futuro vuoi avere figli?”. In tal senso,le Istituzioni possono far ben poco. Sta a noi donne giovani, magari in futuro madri, ad educare la figura maschile all’uguaglianza di genere sotto ogni punto di vista.

C’è stato un momento della tua vita in cui, viste le difficoltà alle quali le donne devono far fronte, hai pensato di mollare? Cosa, poi, ti ha spinto a non farlo?
Non ancora.
Tuttavia, sono sicura che quel momento arriverà perché fisiologico. E, in quel momento, spero di non dimenticare il motivo che mi ha spinto a intraprendere una certa strada.

In che modo, in qualità di rappresentante Young di Fidapa sei al fianco delle donne?
Cercando di ascoltare sempre il loro punto di vista e ciò che hanno da dire per poi esporre le loro problematiche. Nel mio ruolo di Rappresentante Young Fidapa sono soltanto una portavoce.

Cosa ti senti di dire alle donne?
Non abbiate paura di mostrare chi siete realmente. Fate sempre quello che vi far star bene e pensiate sia giusto per voi.
Credo che, agendo così, riusciremo a sentirci libere.

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