di Antonio Marco Del Cogliano
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Il tentato suicidio di un monaco amanuense, e sulle labbra del condannato, due nomi: Joannes Dietrich, l’inquisitore, e Cain, la causa primigenia di ogni disgrazia del condannato.
Da qui, l’inizio di un diario denso di emozioni, che – nell’intento del redattore, il giovane amanuense – rievoca i fatti per come sono si sono svolti, così che si conoscano senza possibilità di equivoco: questo l’incipit di “Sons of Prometheus – I figli di Prometeo”, libro primo. Poi, una voce narrante esterna, a pennellare l’ambientazione di un Rinascimento oscuro, lunghe peregrinazioni guidate da indizi, una lotta senza tregua e senza esclusione di colpi, il rapporto ambivalente fra due fratelli: Cain, folle sanguinario da dieci anni nelle galere del Papa, e suo fratello Abel, damerino che evoca la purezza e la luce, simbolicamente destinato alla morte.
Una fuga e un delitto solo apparentemente duplice, sulla scia di nomi/identità profetiche, sin dalle prime pagine dello scritto: e poi il monaco redivivo, “graziato” dal suo stesso carnefice, sulle tracce di Cain, autoproclamatosi Prometeo, a capo di una setta pagana e blasfema, i Figli di Prometeo…Ancora, il monaco “risorto” costretto a seguire il suo carnefice sotto nuova identità (Padre Malcom), entrambi in caccia del novello Prometeo…Senza svelare oltre, il volume è un coacervo di storia, mitologia, cura maniacale dei particolari architettonico – urbanistici, in grado di proiettare il lettore in una dimensione frenetica ed angosciosa, tremendamente realistica.
Una prova letteraria superba, questa prima delle tre della saga, per lo scrittore esordiente, celato anch’egli da uno pseudonimo evocativo e seducente: Martin Eco Dantes.