di Massimo Ricciuti
Mattia Ringozzi è un poeta, un cantautore con un talento davvero unico. Un “giovane” ricco di passione e cultura. Un personaggio che ama ricercare l’intensità della vita in tutte le sue sfumature. Una voce matura e esperta che porta il peso di una storia importante di cui è, in tutti i sensi il vero e unico autentico erede. Ma è innanzitutto Mattia Ringozzi. Un’isola di poesia, un seme sbocciato in terra di Lunigiana. Il suo album “Pendolari” è un capolavoro. Ogni canzone è un pezzo di un puzzle che arriva a comporre un affresco di immagini di vita.
Come nasce il percorso musicale di Mattia Ringozzi?
La mia biografia è piuttosto banale, sono nato a La Spezia, mi considero un lunigianese doc, tra Toscana, Liguria ed Emilia (la Ludigiana storica non collima coi confini amministrativi). Vivo in Francia da diversi anni e insegno all’Università, canto e amo la buona tavola…
Ho iniziato a scrivere canzoni nell’adolescenza quando normalmente si scrivono poesie… Più che canzoni erano tentativi, ma qualcosa di interessante c’era. A vent’anni ho iniziato a suonare con continuità (con sette musicisti!). Da diverso tempo collaboro stabilmente con Meme Lucarelli, chitarrista che suona come un’orchestra intera, in sede live ed Ugo Borgianni, pianista e arrangiatore molto raffinato, prevalentemente in studio.
Si percepisce, nei tuoi lavori, una certa empatia con personaggi come quelli della “scuola genovese” come Paoli, Tenco, Ciampi (di Livorno) ma anche Endrigo, Gaber etc… l’impressione è che ti abbiano lasciato una missione. Lo sai?
Piero Ciampi è una specie di padre collettivo… quella voce, quegli arrangiamenti da cinema di periferia… è una figura unica e nessuno può rendere quelle canzoni con quell’intensità, con quell’intenzioni. Quando ho sentito “Il Vino” la prima volta è stata una folgorazione, non si può spiegare… O lo ami o lo odi… Erano anni che permettevano a queste personalità di esprimersi ad alti livelli, con dei mezzi importanti. La tanto vituperata industria musicale ha sfornato per lungo tempo dei capolavori. I “genovesi” (e i livornesi-istriani) li ho ascoltati tutti. Ho fatto in tempo a vedere Lauzi in concerto a Monterosso e quando è forte la nostalgia della Liguria metto “Io e Il Mare” di Umberto Bindi, un disco meraviglioso…
In tutto questo si avverte l’influenza dei “francofoni” Brel, Brassens, Ferrè… un legame tanto forte da portarti a vivere in terra di Francia…
I “francesi” li ho scoperti più tardi. Si dice che a un certo punto di musica in testa non ce ne sta più. Io tutti i vent’anni ho accumulato e accumulato. Mi sono innamorato soprattutto di Brel che è davvero un gigante, moderno, ironico… Poi quell’approccio sanguigno alla canzone senza essere retorico, un leone sul palco. Anche in Francia (come in Italia) l’industria musicale sfornava capolavori. E’ vero che poesia e canzone non sono la stessa cosa, ma dimmi te cosa sono allora Brassens, Barbara… Quanto meno dei letterati… Poi c’è il fatto che la poesia, la narrazione, nasce per essere cantata… e Brel, e gli altri che abbiamo nominato vendevano milioni di dischi!
L’esplosione del mainstream può favorire il formarsi di un pubblico più esigente, magari meno numeroso ma certamente più fidelizzato. In fondo il termine “successo” è di per sé un verbo declinato al passato. Concordi?
Oggi come oggi mi pare che a livello di grandi numeri la Francia sia messa ancora peggio di noi, una volgarità disarmante. Ha inventato la canzone d’autore negli anni d’oro, ma oggi si sentono solo cose terrificanti. Soprattutto rap. Poi c’è una rete poco mediatizzata di artisti di valore, un po’ come in Italia. A me piace molto un artista come Renan Luce che è fortunatamente molto famoso. E’ un peccato che Italia e Francia non si scambino più gli artisti, l’abbiamo fatto per decenni, soprattutto nel cinema. Del resto siamo legatissimi, pensa a Ives Montand, a Reggiani, a Ventura… Qui si apre il tema dell’emigrazione che è un soggetto ricchissimo. Oggi viviamo in un’epoca molto volgare. Io rispetto tutti, ma il rap proprio non ce la faccio! Questo piagnisteo continuo sulle periferie, che palle! Come tutti fossimo nati ai Parioli… La critica è sacrosanta, ma poi bisogna anche darsi da fare, studiare, impegnarsi, coltivare il bello è sempre possibile…
Per quanto riguarda la canzone d’autore io non sono particolarmente ottimista. E’ passato il messaggio che per la musica non si debba pagare (ma questo purtroppo vale per tutte le attività artistiche). Tutto deve essere fruibile gratuitamente anche se una canzone su you tube è interrotta dalla pubblicità ogni secondo. E’ vero che la tecnologia ci aiuta però produrre un album comunque un investimento importante. Io sono relativamente giovane, quando ho iniziato a suonare non era immaginabile una degenerazione di questo tipo. Quindi diciamo che prendo quello che viene… Adesso sto lavorando a un nuovo disco, poi si vedrà. Vorrei soprattutto dedicarmi alla narrativa, tempo permettendo.
Cosa c’era prima di “Pendolari”?
Prima di “Pendolari” ho realizzato un disco che si chiamava “Le Strade”. Un lavoro che considero un passo falso nonostante contenesse buone canzoni. Diciamo che forse ero troppo giovane. Ora per contrappasso, non faccio niente in cui non creda profondamente. Più in generale, sono stato molto politicizzato per anni e questo mi ha fatto perdere tempo che avrei potuto impiegare diversamente. Però la giovinezza è anche questo…. Gente che frequentavo invece ci ha marciato sopra e non ha avuto a che pentirsene, ma io ero tanto ingenuo… Tuttavia ho conosciuto delle persone meravigliose che mi hanno dato tantissimo in termini morali, oserei dire spirituali… Partigiani, persone di quella generazione, i contadini della mia Lunigiana. E’ un patrimonio che non mi lascia mai (e se sono ingenuo pazienza, non cambierei…).
I singoli successivi, “L’archivista”, “Vorrei Darti Meno Amore”, “Luce Segreta”…
Ci ho messo un po’ a elaborare l’idea che si potessero fare uscire brani singoli e non un album intero, sempre per la mia difficoltà a metabolizzare le novità. E’ un giochino che mi piace. Infatti di tanto in tanto faccio uscire qualcosa. “Luce Segreta” ha vinto il premio “Andare Oltre Si Può”, qualche anno fa, e l’ho cantata al Lucca Summer Festival. “Vorrei Darti Meno Amore” è dedicato alla mia compagna che mi sopporta da sedici anni. “L’Archivista” è uno dei brani che ho scritto durante il primo “confinamento” che per me è stata una condizione che mi ha costretto a scrivere tantissimo, in pratica una canzone al giorno, cosa che non mi succedeva da anni….
Invece, tornando alla politica, all’Università stai lavorando sulla figura del socialista riformista Luigi Campolonghi…
Campolonghi è la personalità alla quale sto dedicando un percorso di ricerca da anni e con grande passione, qui all’Università di Tolone. Si tratta di una figura straordinaria, che si colloca tra politica, arte, letteratura, giornalismo, originaria della Lunigiana, ovviamente… Si tratta di una pista di ricerca direi inesauribile e progressivamente si stanno dispiegando gli aspetti più profondi di una storia molto complessa e sottolineo importante, sullo sfondo dell’emigrazione italiana, del socialismo umanitario e riformista e dell’antifascismo. Le attività di Campolonghi sono state a lungo ignorate dalla storiografia del dopoguerra, come altre personalità del mondo laico e radicale. Il corpus documentario che ho potuto raccogliere grazie all’opportunità che ho avuto in Francia è davvero enorme, il lavoro è appena cominciato. Se mi permetti un po’ di retorica direi che è la ricerca della mia vita. E se mi permetti un po’ di polemica direi che sono pur sempre un emigrante (anche se mi va di lusso!). Nel senso che questa ricerca non la sto realizzando in Italia, ma in Francia dove vivo e dove è nato mio figlio.
Qui ‘Vorrei darti meno amore’