Di Felice Massimo De Falco
L’Italia è uno paesi europei dove i giovani raggiungono più tardi l’autonomia dalla propria famiglia di origine.
Un dato che spesso viene portato a supporto di questa tendenza è quello relativo all’età in cui i giovani lasciano il nucleo familiare. A fronte di una media europea di 26,4 anni, la stima per l’Italia supera i 30 (30,2 nel 2020). Solo altri 4 paesi dell’Unione raggiungono tale soglia: Croazia (32,4 anni), Slovacchia (30,9), Malta (come l’Italia a 30,2) e Portogallo (30). L’Italia è terza in Ue per i giovani che lasciano la casa.
Come termine di paragone con gli altri maggiori paesi Ue, in Francia e Germania l’età media stimata in cui i giovani lasciano la famiglia si colloca attorno ai 24 anni.
A conferma di tale tendenza media, anche la quota di giovani italiani che vive con la famiglia è più alta rispetto a quella degli altri maggiori paesi Ue. Nel 2019, viveva con i genitori circa la metà degli europei di età compresa tra 18 e 34 anni (50,4%). Tale quota in Italia sfiorava il 70%, contro dati vicini al 40% in Francia e Germania. Nella fascia 16-29 anni, il 69% di giovani europei che vive con i genitori si contrappone all’85,4% dell’Italia.
Tendenzialmente, sono soprattutto i paesi dell’Europa orientale e meridionale a mostrare una maggiore permanenza dei giovani nel nucleo familiare di origine.
Si tratta di una dinamica su cui possono incidere numerosi fattori, tanto di tipo economico, quanto sociali e anche culturali. Ma che allo stesso tempo chiama in causa anche aspetti di natura educativa. Sull’autonomia dei giovani ha infatti un ruolo anche l’accesso ai percorsi di istruzione e formazione. A ricadere nella condizione di neet, cioè di giovane che non studia, non sta seguendo alcun percorso di formazione e non lavora, è più spesso proprio chi ha un livello di istruzione inferiore.
Per questo motivo, anche l’abbandono precoce della scuola o la mancanza di formazione sono fattori che possono compromettere le basi su cui poggia la possibilità dei più giovani di rendersi autonomi.
Da questo punto di vista, non è casuale che i paesi con più giovani neet siano generalmente anche quelli dove si abbandona più tardi il nucleo familiare.
In questo quadro, spicca la specificità italiana della quota di neet. Nella fascia 15-29 anni, nel 2019, la quota di giovani italiani che non studiano e non lavorano è stata pari al 22,2% (il dato più alto nell’Unione europea). Nel 2020, la quota è ulteriormente salita al 23,3%, confermando il primato del nostro paese. Un dato che supera quello di Grecia (18,7%), Bulgaria (18,1%), Spagna (17,3%) e Romania (16,6%).
Un fenomeno quindi da monitorare nel tempo, anche nella sua profondità territoriale, per l’impatto che può avere sull’autonomia di ragazze e ragazzi.
In questo senso, il fenomeno appare particolarmente impattante nelle regioni del mezzogiorno. Nel 2020, a fronte di una media del 23,3% nella fascia 15-29 anni, spiccano i dati di Sicilia (37,5%), Calabria (34,6%) e Campania (34,5%). Mentre le quote più contenute si rilevano nell’Italia nord-orientale. In particolare in Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia e Veneto.
Ma cosa sappiamo rispetto al fenomeno dei giovani fuori dal mercato del lavoro e dalla formazione a livello locale? I dati più recenti disponibili con disaggregazione comunale, relativi all’ultimo censimento generale del 2011, già allora mostravano una maggiore incidenza nei comuni del sud.
Pur utilizzando un indicatore parzialmente diverso, l’incidenza di giovani fuori dal mercato del lavoro e da qualsiasi percorso di formazione appariva più elevata tra le grandi città meridionali. Tra queste Napoli (22,8%), Palermo (19,9%), Bari (15,2%).
Ma cosa sappiamo rispetto al fenomeno dei giovani fuori dal mercato del lavoro e dalla formazione a livello locale? I dati più recenti disponibili con disaggregazione comunale, relativi all’ultimo censimento generale del 2011, già allora mostravano una maggiore incidenza nei comuni del sud.
Pur utilizzando un indicatore parzialmente diverso, l’incidenza di giovani fuori dal mercato del lavoro e da qualsiasi percorso di formazione appariva più elevata tra le grandi città meridionali. Tra queste Napoli (22,8%), Palermo (19,9%), Bari (15,2%).
I dati elaborati sono di Openpolis in collaborazione con Eurostat