Di Felice Massimo De Falco
Se il fine ultimo del fare impresa è creare margine e profitto da reinvestire in posti di lavoro e benessere, allora per le aziende italiane si sta mettendo male. Forse qualcuno non aveva fatto i conti con un’inflazione che a dicembre si è infiammata al 3,9%. Tutta, o quasi, colpa dell’energia, del gas. La materia prima per eccellenza, senza la quale la manifattura italiana che regge il Pil, non può funzionare. E così, per le industrie italiane, dopo due anni di pandemia, comincia un’altra lunga notte, quella dei prezzi.
Con un paradosso di fondo, ovvero imprese piene zeppe di ordini ma impossibilitate ad aumentare la produzione per evitare che tenere i macchinari accesi più a lungo possa tradursi in una bolletta mostruosa. Il problema è proprio quello, i margini che inevitabilmente vanno non più a sostenere gli investimenti, bensì i costi per l’energia.
In Confindustria in questi giorni c’è una certa agitazione per una situazione che pare sempre più insostenibile che rischia di tradursi in un lockdown industriale di fatto, non per mano del Palazzo. E i numeri arrivati dal Centro Studi di Viale dell’Astronomia non possono che giustificare tale nervosismo. “L’aumento dei prezzi delle materie prime sui mercati internazionali, iniziato dagli ultimi mesi del 2020, è ampio e diffuso”, è la premessa degli Industriali.
Per il petrolio, che oggi tocca i livelli più alti dal 2014, si tratta di un recupero più che pieno, dopo il crollo dovuto alla prima ondata di pandemia (+13% a dicembre 2021 su fine 2019). Per il rame, invece, di un enorme rincaro (+57%), così come per il cotone (+58%). A questi rincari si è sommato lo scorso anno il balzo del costo dei trasporti marittimi, anche questo piuttosto persistente. Di recente, negli ultimi mesi del 2021, si è aggiunta l’impennata del gas naturale in Europa, che oggi è la commodity che mostra di gran lunga il maggior rincaro (+723%).
Il problema più urgente è dunque il gas, la cui “impennata della quotazione si è rapidamente trasferita sul prezzo dell’energia elettrica in Italia, facendo lievitare i costi energetici delle imprese industriali: 37 miliardi previsti per il 2022, da 8 nel 2019. Un livello insostenibile per le imprese italiane, che minaccia chiusure di molte aziende in assenza di interventi efficaci. Il prezzo dell’elettricità è più alto che in Francia e altri paesi europei, a seguito delle policy che questi hanno messo in campo. Questi rincari significano anche un marcato aumento della bolletta energetica, pagata dall’Italia ai paesi esportatori”. Sintesi: un livello insostenibile per le imprese italiane, sottolinea il Centro Studi di Confindustria in una nota pubblicata il 17 gennaio, dal titolo: “i rincari delle commodity, in particolare del gas e dell’energia elettrica, rischiano di bloccare le imprese”.
Va bene, ma dove cominciare a mettere le mani? Anche qui gli imprenditori italiani hanno le idee piuttosto chiare. “Sono possibili nell’immediato una serie di azioni, sia congiunturali che strutturali: intervenire sulle componenti fiscali e parafiscali della bolletta elettrica e del gas naturale, aumentando il livello di esenzione per i settori della manifattura, in particolare i comparti energivori a rischio delocalizzazione”, scrivono gli economisti di Confindustria.
Ma senza dimenticare la madre di tutte le sfide, per rendere l’Italia meno dipendente da Russia e Algeria. Ovvero “aumentare la produzione nazionale di gas naturale e riequilibrare, sul piano geopolitico, la struttura di approvvigionamento del Paese; promuovere una riforma del mercato elettrico, al fine di disaccoppiare la valorizzazione della crescente produzione di energia rinnovabile dal costo di produzione termoelettrica a gas”.
Il governo di Mario Draghi una pezza sul caro-bollette (che per le famiglie vale fino a 11 miliardi nel 2022) ce l’ha messa. L’Italia ha stanziato finora 8,5 miliardi di euro per mitigare i rialzi (1,2 miliardi a luglio, 3,5 a ottobre e 3,8 nella legge di bilancio). A questa somma va aggiunto il miliardo per le famiglie in difficoltà. L’esecutivo sta ora studiando ulteriori misure che dovrebbero concretizzarsi in un contributo di solidarietà da parte delle aziende dell’energia, ovvero parte dei profitti da girare sul taglio ai rincari. Il ministro dell’Ambiente, Roberto Cingolani, tra i membri di governo più esposti al problema, ha dato una linea, intervenendo alla Camera, in commissione Attività produttive.
Sul gas la “situazione è oggettivamente molto complessa. Se a fine anno si era detto che c’era una aspettativa in cui dopo il primo trimestre ci si aspettava di avere una stabilizzazione dei prezzi del gas, ora è difficile da credere perché sono subentrate condizioni geopolitiche diverse. Serve una soluzione diversa”, ha messo in chiaro Cingolani. Per il quale “il problema dei prezzi dell’energia va affrontato a livello europeo con una revisione del sistema elettrico”.
Il ministro ha poi paventato una riforma di ampio respiro del sistema elettrico nazionale. “Adesso tutti cercano una strategia complessiva per una riduzione dei prezzi dell’energia. Alcune sono nelle nostre corde altre richiedono una concertazione a livello europeo. Stiamo lavorando a una revisione del sistema elettrico che va fatta in un’ottica europea con assetto che veda lo spostamento delle rinnovabili su mercati di lungo termine e prezzi non più ancorati a gas e CO2”. E ancora, basta con gli interventi con la cesoia e poco strutturali.
“Sarò molto franco. Non credo che possiamo continuare ogni trimestre a tirar fuori del cash che mitiga per altro una parte dell’aumento che di solito è a due zeri. Allora mentre aspettiamo di capire se questa cosa è strutturale o contingente orami con tutti i paesi europei è arrivato il momento di fare un intervento strutturale”.