Di Felice Massimo De Falco
“Con un aumento del 26% della depressione e con un +28% dei disturbi d’ansia, la vera ondata della pandemia in Italia è già in atto: è quella che tormenta la mente. Non dei pazienti Covid, ma della popolazione generale, a partire dalle categorie più fragili, come le donne, gli anziani e i giovani, colpite dai principali fattori di rischio che sono l’impoverimento, la disoccupazione e l’isolamento”.
Sta tutta in questa frase l’identità dei milioni di persone che da noi, come in tutto il mondo, sono investite dal malessere più o meno accentuato, fino alla depressione maggiore, che due anni di coronavirus ci stanno incollando addosso.
A pronunciarla è Claudio Mencacci, co-presidente della Società italiana di Neuropsicofarmacologia (Sinpf), a congresso in questi giorni.
“Per noi psichiatri – racconta Mencacci che è direttore emerito di neuroscienze e salute mentale all’Asst Fatebenefratelli-Sacco di Milano – il lavoro è letteralmente esploso: un flusso continuo di persone in stato di iperallerta, ipocondria, depressione, perdita del desiderio di contatto con il mondo esterno, individui che si sono isolati e che magari hanno perso capacità cognitive perché lo stimolo del “cervello sociale” non si è più attivato.
Paradossalmente chi già era sofferente è più “addestrato” alle conseguenze dell’isolamento: soffre maggiormente la popolazione generale. Ma è un fiume carsico di cui vediamo oggi solo gli effetti più eclatanti e ci interroghiamo, ad esempio, su quali saranno gli esiti a lungo termine per i giovani, drammaticamente intaccati da questa situazione”.
Una metanalisi su 29 studi che nel complesso hanno incluso oltre 80mila ragazzi, pubblicata sul prestigioso Jama Pediatrics e spunto di riflessione e dibattito anche tra gli psichiatri Sinpf riuniti a congresso in questi giorni, dà la cifra di un problema a livello globale: un adolescente su quattro presenta i sintomi clinici della depressione e uno su cinque dà segni di un disturbo d’ansia.
Casi raddoppiati rispetto al pre-Covid e questo lungo periodo dell’epidemia rischia di comportare conseguenze gravi sulla società di domani in termini sociali. Perché se è nota la capacità di resilienza e di recupero della popolazione giovanile, è anche vero che l’isolamento sociale, l’impossibilità o i condizionamenti nel frequentare in piena serenità i coetanei, nel vivere la propria età tra prime relazioni e impegno scolastico e sportivo in presenza, sono fattori che andando avanti intaccano la salute mentale.
L’isolamento in casa durante la pandemia ha acuito i disturbi alimentari. Le richieste di aiuto per anoressia, bulimia e disturbo da alimentazione incontrollata (binge eating) sono quasi raddoppiate rispetto al periodo pre-Covid e interessano fasce di età sempre più giovani (11-16 anni). Ma non tutte le Regioni sono attrezzate per dare assistenza in modo adeguato e capillare sul territorio. L’Istituto superiore di sanità (Iss) ha mappato 91 centri pubblici su tutto il territorio nazionale: 48 al Nord, 14 al Centro e 29 tra Sud e Isole.
La mappa è disponibile online (piattaformadisturbialimentari.iss.it) e riporta anche i contatti per poter chiamare e la tipologia di interventi proposti in ogni struttura. “Presto aggiungeremo anche i centri privati convenzionati con il Servizio sanitario nazionale. La mappa – spiega Roberta Pacifici, direttrice del Centro nazionale dipendenze dell’Iss – è uno strumento di orientamento sia per le famiglie, affinché non perdano tempo nel cercare aiuto, sia per le Regioni, che attraverso i report sulle richieste di accesso che forniremo periodicamente possono misurarsi rispetto al bisogno e programmare l’offerta. La precocità dell’intervento è un obiettivo fondamentale da raggiungere: più si tarda, peggiore sarà la prognosi”. L’ultima legge di Bilancio ha istituito un fondo da 25 milioni per il 2022-2023 al fine di potenziare le reti regionali di cura e riabilitazione. Un primo passo insomma. I tre livelli di assistenza da garantire devono includere la terapia ambulatoriale, i servizi diurni (per i pasti assistiti e le attività psicoeducative) e le strutture residenziali per la riabilitazione fisica, psichica e sociale.
“Gli ambulatori territoriali con équipe specializzata formata da psichiatra, psicologo, nutrizionista o dietista – dichiara Laura Dalla Ragione, a capo della rete per i disturbi alimentari dell’Usl Umbria 1 – possono ridurre significativamente il rischio di ricovero in ospedale. Se il disturbo viene trascurato è più facile finire in pronto soccorso in condizioni già gravi.
Anche se l’80 per cento dei pazienti viene rispedito a casa, perché la bradicardia per denutrizione che può aver causato uno svenimento o gli atti autolesivi associati al disturbo alimentare non vengono riconosciuti come patologia grave”.